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Salario minimo e diritti dei rider: l’Italia, come sempre, arranca

L’Unione Europea di recente ha posto al centro del dibattito due questioni di fondamentale importanza per i lavoratori e i loro diritti: il salario minimo e l’inquadramento dei lavoratori della gig economy, in particolare i rider occupati presso le piattaforme per la consegna di cibo a domicilio. La Commissione Europea, infatti, ha proposto l’adozione di una direttiva per riconoscere i rider e i lavoratori delle piattaforme digitali come subordinati, poiché essi non si assumono il rischio d’impresa né stabiliscono i prezzi delle merci e le modalità di esecuzione della prestazione.

In più occasioni abbiamo raccontato quanto i rider siano soggetti a situazioni di sfruttamento e violazioni dei diritti costanti, che la presunzione della subordinazione rispetto alla piattaforma digitale potrebbe evitare. Lo scopo è infatti quello di superare un’incertezza normativa che rischia di essere molto pericolosa, consentendo così di godere di garanzie imprescindibili come le ferie retribuite e le basilari tutele di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro. Inoltre, sono state proposte norme finalizzate a correggere gli errori dell’algoritmo che possano condurre a rischi per le legittime condizioni di impiego: secondo le prime stime, con il nuovo inquadramento giuridico, più di quattro milioni di occupati delle piattaforme digitali potrebbero veder modificato il loro status, erroneamente considerato di lavoro autonomo.

Il Consiglio UE sull’occupazione ha dato inoltre il via libera ai negoziati riguardanti il salario minimo: attualmente solo sei Paesi non hanno una legge sul salario minimo legale orario e tra questi c’è l’Italia, in cui i compensi si basano sui vergognosi livelli stabiliti dalla contrattazione collettiva. A tal proposito, emerge poi un ulteriore problema: se di per sé le paghe minime sono ridicole, lo sono diventate ancor di più da quando la scena è affollata da contratti pirata, siglati da organizzazioni sindacali non rappresentative dei lavoratori che strizzano l’occhio a Confindustria e a datori di lavoro senza scrupoli. Ma neanche quello della rappresentanza reale dei lavoratori sembra essere un tema che preoccupa particolarmente il Governo dei migliori.

Le garanzie sono insufficienti, e lo diventano ancora di più se i contratti non vengono stipulati o non si rispettano gli obblighi riguardanti la sicurezza e le condizioni minime di lavoro: in Italia, dall’ultimo controllo è emerso che ben nove aziende su dieci non sono in regola. Dati scandalosi, che necessiterebbero di un intervento urgente e immediato. E invece tutto è immobile.

Il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Andrea Orlando si è detto molto soddisfatto delle iniziative in ambito europeo, dichiarando che si tratta di una priorità che il nostro Governo è impegnato a promuovere a livello nazionale e in sede europea e sulla quale continueremo a impegnarci sostenendone una visione ambiziosa che garantisca tutele a tutti per il presente e il futuro. Eppure non abbiamo notato tale impegno, che pare risolversi in mere enunciazioni di principio e proposte di legge insoddisfacenti abbozzate qua e là.

Nessuno di questi temi viene affrontato seriamente né inserito nell’ambito di una progettualità come il Piano di Ripresa e Resilienza, così come quello della sicurezza e prevenzione sui luoghi di lavoro, pur ritrovandoci a contare vittime sempre più numerose, senza che nessuno accerti le reali responsabilità. Se, infatti, ci fosse stata la reale volontà politica di intervenire in materia, non ci sarebbe stato bisogno di aspettare alcuna iniziativa dell’UE, che in ogni caso rischia di risolversi in un nulla di fatto, da un lato perché è ancora all’inizio e dovranno seguire lunghi negoziati tra le parti in campo, dall’altro perché gli Stati membri conservano margini di autonomia e prerogative molto ampie, che consentono loro di recepire le direttive nella modalità che ritengono più idonea per l’ordinamento nazionale. A ciò si aggiunga che non di rado i provvedimenti UE – anche se vincolanti – sono rimasti inattuati in Italia.

Le premesse non sono delle migliori poiché gli interessi tutelati rimangono quelli del profitto e di Confindustria, non osando in alcun modo prendere decisioni a questa sgradite. Il salario minimo è un’iniziativa fondamentale, cui non è più possibile rinunciare: perché nessuno debba più lavorare al pari di uno schiavo né accettare condizioni umilianti e non dignitose. Perché nessuno debba più scegliere tra dare da mangiare alla propria famiglia e morire sul posto di lavoro. Perché nessuno debba più ringraziare un datore senza scrupoli per quelle briciole che sono tutt’altro che sufficienti e rispettose della persona umana.

Salario minimo e diritti dei rider: l’Italia, come sempre, arranca
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