Diciamolo, questo film lo aspettavamo tutti. Robert Eggers, già regista di The Witch, The Northman e The Lighthouse, col suo remake di Nosferatu, ha saputo gonfiare un hype che ha fatto sognare migliaia di fan. E anche chi non era fan, perché la figura di Dracula/Nosferatu piace a chiunque: fin dai tempi di Polidori con il racconto Il vampiro e successivamente Bram Stoker con Dracula, passando per Twilight, i vampiri di Anne Rice, la serie di Anita Blake, la serie sui Gardella di Gleason, Buffy L’ammazzavampiri (noi millennials sogniamo ancora quella ship tra lei e Spike), per non parlare degli anime Netflix come quello dedicato ad Alucard, Castelvania.
E se ci spostiamo sui film (sarebbe impossibile nominarli tutti, il personaggio ha ispirato più di duecento pellicole) come non menzionare Dracula di Bram Stoker (1992) di Coppola, con un Gary Oldman indimenticabile; Dracula. Il vampiro di Fisher (1958) con un grande Christopher Lee; Dracula (1931) di Tod Browning, che vede protagonista Bela Lugosi; Intervista col vampiro (1994) di Neil Jordan e tratto dall’omonimo romanzo di Anne Rice; Lasciami entrare (2008) di Tomas Alfredson (forse uno dei più belli dei primi del 2000); The addiction (1995) di Abel Ferrara e così via.
E ovviamente, visto che stiamo parlando di Eggers, Nosferatu. Il principe della notte di Werner Herzog (1979) e Nosferatu. Il vampiro (1922) di Friedrich Wilhelm Murnau.
Ci tengo a precisare che Eggers ha fatto un remake, non un film a sé stante. Questo vuol dire che ha preso i film precedenti su Nosferatu e ne ha dato una sua interpretazione, mantenendo intatta la trama (e parliamo del primissimo film su Nosferatu di Murnau, perché quello di Herzog finisce in un’altra maniera, cioè con la trasformazione di Jonathan Harker – Thomas Hutter nell’opera di Eggers – in Nosferatu stesso).
Attenzione spoiler da qui in avanti.
Ma veniamo al film e brevemente alla sua trama (che segue il romanzo di Stoker ma perde la sua forma epistolare): siamo nel 1838, Thomas Hutter viene spedito da un sospetto signor Knock, il suo capo dell’agenzia immobiliare, in Transilvania, dove lo attende Orlok, un conte che ha interessi nell’acquisto di una proprietà a Wisborg, Germania. Ovviamente Orlok non è altri che Nosferatu.
Hutter arriva in Romania, lasciando a casa la moglie Ellen, preda di incubi, allucinazioni, possessioni, insonnie e sonnambulismo. Ellen sogna Nosferatu e la sua venuta funesta. Che legame hanno i due?
Hutter piano piano capisce che Orlok è un mostro, un essere diabolico, cerca di fuggire, viene morso, scappa, viene soccorso, riesce a tornare in Germania in condizioni pietose. Orlok, che stabilisce una connessione onirica con Ellen, si infila in una cassa da morto e si fa spedire a Wisborg via mare (il suo tragitto ha scatenato un dibattito non indifferente tra i miei amici). Quando finalmente giunge, con lui arriva anche la peste.
Knock intanto si rivela un traditore, la famiglia che ospita Ellen subisce ogni sorta di disgrazia e la città cade nell’oscurità più totale. Orlok cerca in tutti i modi di ricongiungersi (termine che uso non a caso) a Ellen, la quale capisce che per mettere fine al neonato regno del terrore di Nosferatu deve sacrificare se stessa. Il film si conclude con una bellissima scena, anche piuttosto erotica, di lei che perde la vita trattenendo il Conte fino al canto del gallo dell’alba (chiaro riferimento al tradimento di San Pietro a Gesù).
Ho detto ricongiungersi di proposito perché tra Ellen e Nosferatu esiste un legame antecedente agli eventi mostrati nel film: la protagonista confessa di essere diventata sua amante da giovanissima, cedendo alla seduzione del conte per scacciare la solitudine. Se vogliamo, c’è un che di “lolitesco” in questa vicenda: una giovane ninfetta che diventa amante di un uomo molto più grande (in questo caso un vampiro millenario) e poi fa una brutta fine. Chiaro è che il mood è completamente su un altro piano: qui siamo nel gotico pieno, se non horror.
Io però non definirei horror il film di Eggers. Inquietante senz’altro, ma i jumpscares presenti sono tutti telefonati, quindi di salti per lo spavento non se ne vedono. Un’altra cosa che ho molto apprezzato è l’aspetto di Nosferatu: forse questa è una delle poche occasioni in cui Dracula non ha le zanne, ma anzi, dei baffi e un corpo deforme, quasi adolescenziale nella stortura della parte inferiore. Difatti, non morde al collo (come siamo abituati a vedere) ma morde e mangia la carne all’altezza del cuore.
A differenza del film di Herzog, che ha (soprattutto nella prima parte) delle tinte pastello e quasi allegre, Nosferatu di Eggers gioca sui toni cupi del nero, del blu e nelle scene più calde dell’arancio. Ogni frame è un piccolo capolavoro di scenografia e fotografia: l’apertura che vede Ellen sollevarsi da terra verso l’ombra di Orlok sulla tenda svolazzante; i cavalli e la carrozza che vanno incontro a Thomas nella foresta ai piedi del castello; la mano ad artiglio, mostruosa e gigantesca, che cala sulla città di Wisborg o sul viso di Ellen (l’apice dell’espressionismo ispirato da Murnau e che richiama la scena nel conte che sale le scale nelle ultime scene del film, la sua ombra deforme che si staglia contro il muro); il mare agitato e illuminato dalla luna mentre ci viene mostrato il viaggio in nave del Conte.
I personaggi: Ellen, interpretata da una sorprendente Lily-Rose Depp raccoglie la grande eredità lasciata da Isabelle Adjani, compito non facile, ma che l’attrice ha saputo discretamente omaggiare. Le scene delle sue possessioni – quella nel letto mentre Von Franz, il medico che interpreta Willem Dafoe e non è che Van Helsing, cerca di esorcizzarla, e quella di seduzione di Ellen stessa a suo marito (seguita da una scena di sesso rude niente male) – sono credibili.
Von Franz forse è l’unico che stona: a parte che Willem Dafoe ormai è ovunque, ma ho trovato nella sua interpretazione una nota comica che col film non c’entra niente e che spezza sgradevolmente la tensione. È voluta? Non lo possiamo sapere, ma forse avrei preferito altro.
Siamo tutti d’accordo nel dire che la star del film è Nosferatu stesso, interpretato da Bill Skarsgård (fratello minore del più famoso Alexander e già protagonista del film The Crow – Il corvo e di It – Capitolo due): nella voce originale in inglese ha una resa incredibile, ma il doppiaggio italiano, con quella sorta di asma profonda, è altrettanto d’impatto. Per la maggior parte del film il suo viso resta celato: si vede la sua silhouette, la sua ombra, si ascolta la sua voce, si sente la sua presenza (o meglio, la sua assenza) e non si sente affatto la mancanza di un vero e proprio svelamento del volto. La presenza scenica e il fascino del personaggio bastano e avanzano.
Ho letto da qualche parte che molti hanno criticato la presenza dei baffi: intanto, in Dracula di Bram Stoker l’autore lo descrive baffuto; in secondo luogo, un cadavere millenario originario della Romania, nato nel 1400, come minimo doveva portarli, perché erano in uso, facevano parte della cultura del tempo. Anche il famosissimo dipinto, Ritratto di Vlad Tepes III l’Impalatore o Dracula (artista sconosciuto) lo raffigura con dei baffi importanti. Invece il suo aspetto deforme nel film rende omaggio al cambio di rotta di Murnau: nel romanzo, Stoker raffigura il conte Dracula in modo aristocratico, piuttosto romantico, persino di bell’aspetto e sicuramente dotato di un carisma irresistibile. Murnau e anche Eggers lo trasformano in un essere abietto, brutto, sporco, animalesco (con un profondo accenno malinconico e di afflizione introdotto da Herzog). Per fortuna Harry Styles, a cui era stata assegnata la parte in principio, si è ritirato per altri progetti e ha lasciato spazio a Skarsgård. Non ce lo vedevo per niente nel ruolo di Orlok.
Lui ed Ellen condividono una questione: la solitudine. Si può dire siano due persone estremamente sole, talmente tanto che il primo si imbarca in un pericoloso viaggio via nave per raggiungere “l’amata” e la seconda si concede a un mostro. Eppure Ellen ha trovato il vero amore, Thomas, ma il richiamo viscerale con Orlok non può essere ignorato. Si è parlato anche della questione della sessualità di Ellen: qualcuno ha sollevato che il film sia un’analisi sulla melancolia (in termini patologici) della donna, altri che le sue possessioni siano espressione di un desiderio corrotto e soffocato. Io, modestamente, non ci ho visto niente di tutto questo: Ellen è soggiogata mentalmente dal suo amante, ne desidera l’arrivo, è schiava di un possesso carnale frutto dell’unione con un essere sovrannaturale. Cosa avrebbe dovuto fare? Rinnegare senza conseguenze? Ignorare? Semplicemente è una schiava consapevole – perché è palese che sappia, fin dall’inizio del film – di essere destinata a Orlok.
Forse è in questa consapevolezza che risiede la nota erotica: nel fatto che, qualsiasi cosa faccia o resistenza innalzi, chiunque abbia sposato, non può sfuggire al suo primo amante, per quanto mostruoso esso sia, e forse soprattutto per questo, per l’innegabile fascinazione che la donna ha per l’oscurità.
Tra l’altro, il film lo rende noto: Ellen ha una sorta di potere d’attrazione particolare, sente le cose, nel suo sangue c’è un filo rosso che la lega geneticamente a Dracula. Perché lei e non un’altra? Significativa la frase che le rivolge lui, quando rifiuta l’accusa e le concede tre notti di tempo prima di scatenare l’inferno: “Sei tu il mio tormento”. Nosferatu lo dice a Ellen: è lei che lo ha evocato, è lei che lo ha attratto dalla tomba. Ciò che accade è una naturale conseguenza del risveglio di un mostro.
Alcune curiosità: se vi state chiedendo perché il film di Murnau (e quello di Eggers) cambia i nomi dei protagonisti e l’ambientazione (da Londra alla Germania) il motivo è da cercare nella questione dei diritti. Nel 1922 Murnau ebbe un po’ di problemi: fu denunciato dagli eredi di Stoker, perse la causa per violazione del diritto d’autore e venne condannato a distruggere tutte le copie della pellicola. Tuttavia una copia “clandestina” fu salvata dallo stesso Murnau e il film è potuto sopravvivere. Alla Prana-Film invece (casa di produzione del film) andò male: fu costretta a dichiarare bancarotta in seguito alla causa con gli eredi di Stoker perché obbligata a pagare il contenzioso sui diritti d’autore.
Herzog invece, col suo film del ‘79, ha mantenuto i nomi originali e viene considerato un remake del film di Murnau. A questo proposito non si può dire che Nosferatu di Eggers sia un remake di un remake: il regista ha più volte dichiarato che il riferimento per la sua versione è il primo film e che, lo ricordo a onor del vero, era un film muto.
Per concludere, a me la pellicola è piaciuta molto, considerato che ho potuto guardare anche la versione di Murnau e quella di Herzog (e leggere il romanzo). Vale la pena andare al cinema per una pellicola così perfetta a livello estetico, anche solo per confrontarsi e stimolare un dibattito con gli altri.