Lo scorso 5 agosto, nella Galleria Umberto I di Napoli, è stato finalmente inaugurato il nuovo Mondadori Bookstore | MA (MA riassume la filosofia d’ispirazione nipponica dell’azienda, ovvero eco-friendly, smart e young) di fianco a un tanto agognato primo Starbucks della città.
L’apertura ha richiesto diversi anni di lavoro e molti mesi di tira e molla in cui nessuno sapeva effettivamente quando ci sarebbe stata l’inaugurazione, nonché un’apertura frettolosa e un’altrettanto frettolosa chiusura dopo nemmeno ventiquattro ore: prima mancavano i permessi, poi c’erano da sistemare lo spazio e le scie, insomma questa libreria si è fatta attendere parecchio. E come capita spesso quando qualcosa si dilata nel tempo, le aspettative sono cresciute in modo proporzionale: più mancava all’apertura, più l’hype si gonfiava.
A quanto pare, si tratta della più grande libreria Mondadori d’Italia: l’azienda dichiara mille metri quadrati e 148mila volumi, un’aerea chiamata We are young dedicata ai bambini, con giochi didattici e testi appositi, nonché una sezione tutta per i manga e i fumetti. In più – ciò che almeno a me interessava – uno spazio di coworking dove poter lavorare e leggere. Non ultima, per ordine di importanza, la presenza di una buvette, di cui si sentiva la mancanza dopo che la Feltrinelli di Chiaia ha eliminato la sua. Dunque, tutto prometteva benissimo.
Sul sito del Gruppo Mondadori, Antonio Serpe, Chief Retail Officer delle librerie Mondadori Bookstore | MA Italia, dichiara: «Il progetto, in un luogo simbolo come Galleria Umberto I, rappresenta la massima espressione della nostra filosofia: porre la cultura e l’arte, in tutte le forme espressive, al centro della natura e avvicinarla il più possibile alle persone, soprattutto ai giovani. È per questi motivi che abbiamo lavorato assiduamente e con passione […] per risolvere le problematiche legate alla location e mettere a disposizione del pubblico e della vivacità che caratterizza questa straordinaria e colorata città un punto di riferimento dedicato alla cultura e all’intrattenimento».
Carmine Perna, Amministratore delegato di Mondadori Retail, aggiunge: «Siamo orgogliosi della realizzazione di questo progetto di cui abbiamo da subito condiviso visione e obiettivi: creare un polo culturale ed esperienziale al servizio della comunità, che diventi luogo di promozione della lettura, dell’intrattenimento, dell’ecosostenibilità e della cultura nel suo senso più vasto».
Creare un polo culturale ed esperienziale al servizio della comunità. Adesso vi racconto perché, a mio avviso, questo buon proposito non è andato a segno.
Mi trovo a visitare la libreria a fine settembre (in più battute, di mattina e successivamente di sera), quindi a due mesi pieni dall’apertura, un lasso di tempo più che sufficiente per i rodaggi del caso. Come tutti, immagino, nutro alte aspettative perché a Napoli, purtroppo, manca un vero spazio dove potersi fermare a lavorare col pc (a meno di pagare spazi di vero coworking) o a leggere un libro senza doversi arrangiare per strada o al bar. Quasi nessuna libreria della città – ad esempio la Feltrinelli di Chiaia o quella di Via Toledo e la Ubik di Spaccanapoli – ha uno spazio fisico dedicato a chi semplicemente vuole entrare e sedersi a leggere. Tutt’al più ci sono un paio di poltroncine, ma non sufficienti. Dunque, la prima cosa che mi aspetto di trovare nella nuova Mondadori è un luogo apposito, dedicato, dove le persone possano appartarsi per una lettura in santa pace: così non è.
Ma partiamo dal principio: la prima cosa che colpisce non appena si entra nello store è il caldo infernale. Si viene investiti da un’aria così calda che pare di entrare in un forno. Questo significa due cose: la prima, non mettere la persona a proprio agio; la seconda, che l’aria condizionata o è spenta o non ce la fa a raffreddare l’ambiente. Primo problema: se io vado in una libreria voglio intrattenermi, non scappare dopo cinque minuti perché grondo sudore. Superato il disagio, l’ambiente si apre in una sorta di disimpegno. Secondo problema: l’ascensore non funziona. Le persone disabili e quelle con difficoltà motorie praticamente non possono accedervi.
Ma andiamo oltre: la scalinata a spirale così famosa perché ormai onnipresente in tutti i reel degli influencer dedicati alla libreria è effettivamente bella, ma inutile, non funzionale. Intanto, le persone vi si attardano per scattare foto e girare video, imballando il flusso di coloro che effettivamente vogliono andare avanti. In più, è difficoltoso verificare i testi che sono esposti in questo spazio perché fermarsi a guardare significa interrompere il passo degli utenti e farsi venire una sincope al collo. Il criterio poi con cui sono disposti è più misterioso delle visioni dei veggenti di Medjugorje. La risposta potrebbe essere che sono stati messi lì per bellezza, per arredo, ed è proprio questo il problema di questa libreria: l’apparenza. Mi pare chiaro che ci debba essere un’entrata d’impatto, e la scalinata lo è davvero, ma è stretta e i volumi lì prendono solo polvere.
Si accede finalmente alla vera e propria libreria. Arredi moderni, arcate che fanno da scaffali, moquette, luci tutto sommato adeguate, fotografie alle pareti, impatto disorientante: dove sono le ultime novità editoriali? Dove trovo i classici? Sono disposti per casa editrice o in ordine alfabetico? Addentrandomi ancora, noto una disposizione dei testi vagamente insensata, ma non mi do per vinta e cerco Jorge Louis Borges. Ora, sto parlando di Borges, non di Peppiniello del paese, si tratta di un autore che non dovrebbe assolutamente mancare. E difatti non manca, perché nel corridoio dedicato alla letteratura straniera lo trovo. Ci sono tre o quattro titoli, riesco a prendere L’Aleph, ma manca Finzioni. Mi giro a verificare se c’è qualcuno a cui chiedere, ma non c’è. Altro problema: il personale svolge mansioni da “commesso”, non da libraio. Qualcuno sposta e risposta continuamente i pouf da una parte all’altra con fare scocciatissimo e tono seccato. Ora, se dopo due mesi le persone che lavorano qui sono già allo stremo, c’è qualcosa che non va.
Ma torniamo a Borges. Voglio assolutamente anche Finzioni, allora mi metto a girare nei corridoi. Gli ambienti sono pensati così: le pareti ad arco accolgono dei volumi, gli scaffali bassi posti nel mezzo del corridoio ne accolgono altri. Qual è il criterio di separazione? Dove cerco l’autore o l’autrice che mi interessa? Sulle pareti o sugli scaffali in mezzo? A dimostrazione di questa confusione, trovo Finzioni da tutt’altra parte, in uno dei ripiani centrali. Non capisco perché non mettere tutti i volumi di Borges insieme. Faccio un altro tentativo con Yukio Mishima. Il mio metro di giudizio è la Feltrinelli di Chiaia che ha tutti i suoi testi (facile, direte, sono editi da Feltrinelli). Però, come Borges, qui stiamo parlando di un autore imprescindibile, e nella Mondadori più grande d’Italia che dichiara 148mila volumi mi aspetto di trovare anche le mutande di Mishima. Mishima c’è, ma mancano molti testi. Probabilmente sono smistati altrove, ma non ho più voglia di cercare.
Nel frattempo, sento la necessità di andare in bagno. Si trova facilmente, ma c’è la fila. Ci sono un bagno per le donne e uno per gli uomini. Entro e mi pare un cantiere: non c’è carta, non ci sono asciugatori per le mani, il pavimento è già rovinato (come anche la moquette della libreria, lercia di enormi macchie di caffè non pulite) e c’è un buco nel muro da cui fuoriescono cavi mal coperti da una mascherina appesa.
Torno tra i corridoi, mi dirigo nella sezione autori italiani. Sinceramente, la selezione è imbarazzante. Metà degli autori che cerco manca, però (però!) nella sezione riservata a Napoli – che cosa originale – c’è un’intera parete dedicata a Elena Ferrante. L’unica gioia di questo spazio: vedere un testo che ho molto amato, quello di Stefania Spanò, Nannina, edito da Garzanti. Non pervenuti testi di editori indipendenti e, se ci sono, io non li vedo.
Spazio manga e fumetti: come mi conferma un altro utente, trovare Berserk di fianco a Dora l’esploratrice e ai testi per la gravidanza è veramente interessante. Lo spazio è trattato come se i lettori di manga fossero degli infanti, con tanto di mini tavolini e sedioline colorate. Mancano moltissimi testi “adulti”, quindi è una selezione che, è vero, strizza l’occhio alla generazione Z, coadiuvata dalla presenza di testi fantasy e young adult abbastanza fornita (ma anche qui, un amico che cerca un testo di Robert Anthony Salvatore non lo trova) ma insufficiente.
La cosa che più mi infastidisce, però, non è tanto il criterio assurdo con cui sono disposti i libri – di fatto basterebbe chiedere al personale o cercare da sé su pc appositi – ma la mancanza di uno spazio tranquillo dove leggere: nel mezzo dei corridoi, confusi, chiassosi e ovviamente di passaggio, ci sono dei pouf, delle poltrone e una sorta di nicchia a listelli di legno aperta, ma presi d’assalto. Non c’è mai posto e mi pare logico che sia quasi impossibile concentrarsi mentre le persone ti passano accanto e addosso.
Altro tasto dolentissimo: lo spazio dedicato al coworking. Un tavolo (bello, bellissimo eh) di legno su cui possono trovare posto al massimo dieci persone se si stringono, senza privacy perché situato in una zona di camminamento. Ora, vorrei che qualcuno mi spiegasse come faccio a lavorare (o a scrivere addirittura) se sono distratta dal rumore, dalle risate, dalle voci dei clienti. Legittimo ovviamente, il problema non sono – ancora una volta – le persone, ma la disposizione illogica di zone che dovrebbero essere appartate. Lo stesso destino lo condivide la nicchia pensata per le presentazioni: venti, trenta sedie a voler essere generosi, insufficienti se l’autore o l’autrice ha un seguito nutrito e, di nuovo, in un angolo che non può garantire silenzio e raccoglimento.
La buvette: carina, ampia, con dei divanetti, adatta se si vuole prendere qualcosa da bere o da mangiare in loco (e però, poi, se vuoi portarti via il caffè e sederti a leggere sorseggiando senza fretta, dove vai?) ma il pos non funziona. Quindi, amici, portatevi i contanti e se non ce li avete, arrangiatevi.
Nel frattempo, passata mezzora, sarete morti di caldo. Noto più di una persona sventolarsi con il ventaglio o abbracciata ai condizionatori a parete. Ci metto la mano: alcuni sono accesi, piano, altri sono spenti. Lo spazio non ha finestre perché è interrato: tenere l’aria bassa significa soffocare. E d’inverno, con i cappotti pesanti? Facciamo una sauna?
Spazio musica inutile: quattro vinili in croce. Spazio bambini enorme: questa forse è l’unica sezione che ha un senso. Ma dove si siedono? Ah già, nel reparto manga, dove “efferati” nerd cercano hentai e spargimenti di sangue che, mi dispiace deludervi, non trovano.
Voglio tirare le somme: questo flagship store Mondadori non è pensato per il lettore. È uno spazio esteticamente piacevole, altamente instagrammabile, dove farsi un giro veloce senza comprare niente, realizzare un video promozionale, farsi un selfie sulla scalinata, al massimo andare a prendere un caffè alla buvette (con i contanti) e fare una chiacchierata. A me pare l’ennesima occasione persa per la città, in una zona come quella della Galleria Umberto I dove si sentiva davvero la necessità di trovare un luogo di aggregazione culturale.
Paradossalmente, e lo dico da scarsa fan di Starbucks, è più consono andare lì, almeno ci sono le prese per il pc, spazi dove sedersi e nessuno ti cammina addosso se provi a leggere o a capire se quel testo vuoi comprarlo o no. Per tutto il tempo che resto in Mondadori, circa un’ora, vedo sì e no una decina di persone comprare un libro, il resto si aggira tra i corridoi senza criterio, scattando foto o camminando a caso. Non mi aspetto certamente di trovare un libraio competente – questi sono lussi che, il più delle volte, regalano le librerie indipendenti o più piccole – ma nemmeno la vetrina vuota e confusa di cui faccio esperienza.
La massima espressione della nostra filosofia: porre la cultura e l’arte, in tutte le forme espressive, al centro della natura e avvicinarla il più possibile alle persone, soprattutto ai giovani. Le parole di Serpe mi paiono vuote: se per “favorire i giovani” intende dare loro un luogo da instagrammare, allora l’obiettivo è centrato. Ma se lo scopo è avvicinarli alla lettura, allora il fallimento è palese. Lo store non è un polo culturale: è un bell’ambiente e nient’altro, il solito pacchetto ben imballato per la città che viene sfruttata come vetrina raffinatamente estetica ma senza funzionalità (come la nuova metro linea 6, stupenda, ma con treni che passano ogni trenta minuti e tanto piccoli che paiono giocattoli).
È così difficile creare luoghi che siano belli ma anche utili? Che aggreghino davvero le persone intorno alla cultura? A quanto pare sì. Abbiamo le stazioni della metropolitana più belle del mondo, lo store Mondadori più grande d’Italia, ma che ce ne facciamo se non passano i treni e se non trovo un libro di Borges o non posso davvero leggere in pace? Dove devo andare? È vero, in città ci sono spazi appositamente pensati per il coworking: Spazio Tra (ingresso giornaliero 10 €), Re.working se avete bisogno di un posto nella zona del Centro Direzionale, Dialogue Place (ingresso metà giornata 5 ore 8 € , tariffe a salire), Minimo Coffee Workspace in via Quercia (che però lascia agli utenti un range di tempo piccolo, tipo tre ore, più una caffetteria) ma, come si può notare, sono tutti a pagamento.
Stendiamo un velo pietoso sul discorso biblioteche, pubbliche, comunali e universitarie. In una città come Napoli, non avere la possibilità di andare a sedersi in una biblioteca è qualcosa di osceno (parlo di esterni, non di studenti). Sono musei, di fatto, ma per le persone comuni, a meno di pagare un biglietto d’entrata, non c’è verso. Che dire, amici? Continuiamo a leggere per strada in mezzo ai turisti e alle friggitorie.