Posillipo, luogo di incredibile bellezza e fascino, tra la seconda metà dell’Ottocento e nei primi del Novecento è diventato una meta molto desiderata dagli stranieri. Il suo nome, che deriva dal greco pause e lypon, significa “cessazione dei dolori” e proprio tanta bellezza è spesso in grado di essere un antidoto alla sofferenza della vita di tutti i giorni. E sono davvero tanti coloro che hanno scelto il quartiere napoletano come, appunto, luogo di cura.
Passeggiando per via Posillipo, al numero 204, si accede a Villa Ruffo della Scaletta. Si tratta di una costruzione di gusto eclettico, dove la parte principale è in stile neoclassico e dotata di un giardino intorno ai 27900 metri quadri con elementi neogotici. Sull’altra parte dei terreni della margravia, invece, al numero 54 di via Posillipo, si trova Villa Gallotti. L’abitazione è stata purtroppo frazionata nel tempo e da queste sono nati diversi edifici tra cui: Villa Semmola, Villa Mayrhofer, Villa Fernandez e Villa Carradori.
Come viene riportato nella Carta topografica e idrografica del 1817-19, al posto della Chiesa di Santa Maria delle Grazie, è stata edificata Villa Rivalta. Un edificio costruito dal signor Hauser dopo il 1884, su una proprietà che era di appartenenza della famiglia Ricciardi dei Conti di Camaldoli. Oggi presenta un corpo a forma di torre con merlature e due corpi laterali più bassi. Come scrivono Yvonne Carbonaro e Luigi Cosenza ne Le ville di Napoli è stato ristrutturato nel 1950 e diviso in condominio. Altra villa purtroppo divisa in condominio è Villa de Mellis, dal nome di una ricca famiglia che aveva varie proprietà a Posillipo. Gli autori scrivono: oggi vi è ubicato il ristorante “Giuseppone a mare” una volta “Osteria del Capo”, eretta sulle fondamenta del seicentesco palazzo del Marchese della Candia (secondo Baratta), palazzo del Principe d’Ischitella (secondo Bulifón).
A dominare la punta di Posillipo, invece, è Villa Volpicelli, diventata molto famosa a seguito delle riprese della soap-opera Un posto al sole. La costruzione è ben visibile grazie all’alta torre cilindrica della struttura fortificata del Palazzo di Pietro Santacroce. Fu acquistata nel 1884 dal facoltoso commerciante Raffaele Volpicelli che, durante i lavori di ristrutturazione, volle conservare il più possibile la sua struttura originaria. La villa ha uno splendido giardino che prosegue fino al confine con un altro edificio, ben più noto: Villa Rosebery. Si tratta della residenza del Presidente della Repubblica durante i suoi soggiorni a Napoli. Si trova in via Ferdinando Russo n. 26 e si estende per circa 52800 metri quadri.
Villa Rosebery è tra le prime costruite nell’Ottocento in quanto, tra il 1800 e il 1801, il conte di Thurn, commodoro austriaco al sevizio dei Borbone, accorpò i vari fabbricati. Nel 1820 la villa fu poi acquistata dal duca di Terranova Agostino Serra di Gerace. L’architetto Stefano Gasse rese l’abitazione di impronta neoclassica mutandola in un’elegante residenza aristocratica. Nel 1857 fu poi acquistata da Luigi Carlo Maria di Borbone, conte d’Aquila e fratello di Ferdinando II, che l’ampliò ulteriormente, arricchendo anche il giardino.
Nel 1860, anche con la conclusione del regno borbonico, il conte, che ormai risiedeva a Parigi, vendette la proprietà al francese Delahante il quale l’ha poi rivenduta a lord Rosebery. Fu proprio in questa villa che Robert Gunther portò avanti le sue ricerche sul bradisismo e sulle antiche ville romane della zona. Questi, inoltre, ricostruì una sua pianta della zona, chiamata Rosebery Region, dove vi erano segnate le costruzioni, attualmente sommerse, che secondo lui esistevano in epoca romana. Villa Rosebery è stata poi ereditata dal sesto conte di Rosebery per poi donarla allo Stato italiano. Come raccontano ancora gli autori: Mussolini, dietro consiglio di Gunther, pensava di farne un museo etnografico. Con lo scoppio della guerra e i mutati rapporto con gli inglesi, la villa fu ribattezzata “Villa Maria Pia”, nome di una delle principesse di Savoia che vi era nata. Attualmente la villa è a disposizione del Presidente della Repubblica.
Tra Capo Posillipo e Marechiaro, si trova invece Villa Fattorusso, una costruzione bianca con tegole rosse d’ispirazione neoclassica. Carbonaro e Cosenza la descrivono così: La facciata d’ingresso presenta una loggia retta da colonne doriche, mentre sul versante opposto porte-finestre sormontate da timpani triangolari si aprono sulla terrazza centrale di affaccio sul mare dove il giardino pensile è sostenuto da alti muri di contenimento. Lo stabilimento balneare “Le rocce verdi” […] vi si snoda dalla quota del giardino e della piscina che vi è compresa, fino al banco tufaceo a mare.
Poco dopo Villa Fattorusso si trova Villa Emma, che prende il suo nome da una delle figlie del marchese Francesco Marignoli. Il Baratta, nel Seicento, la indicò come proprietà di Giacomo Castellano, ebbe inoltre il nome di palazzo delle Cannonate perché proprio da lì gli Spagnoli cannoneggiarono le navi francesi mettendole in fuga. Gli interventi apportati alla villa nel corso dell’Ottocento l’hanno resa più grande e confortevole e l’interno comprende anche una cappella in stile neogotico. L’abitazione ha avuto diversi proprietari, sino al 1936, anno in cui fu acquistata da Gabriella Nicolis de Robilant, baronessa Barracco.
Villa Maya è stata acquistata da Norman Douglas, intellettuale e diplomatico in congedo, nel 1896. Nel corso del tempo l’abitazione è poi passata alla famiglia Paratore e poi a quella Ambrosio. Gli autori raccontano: Dopo il fallimento di Ambrosio la Regione, che aveva già acquistato la villa sull’isolotto della Gaiola, ha comprato dal curatore fallimentare l’area del Fontaniello, su cui insiste Villa Paratore, e quindi la sottostante Villa di Vedio Pollione in vista della costituzione del parco archeologico.
A tal proposito, sull’isolotto della Gaiola sorge una villa “maledetta” che sarebbe stata abitata da Graf Karl Joseph Firmian, un ambasciatore austriaco. La villa è stata acquistata da Luigi de Negri nel 1871 e nel 1873 è diventata la sede della Società Italiana di Psicocultura. La società però ben presto fallì e la Gaiola venne acquistata da Nelson Foley, dirigente di una società di meccanica. Carbonaro e Cosenza raccontano: Il 12 agosto del 1911 l’incrociatore San Giorgio, varato poco tempo prima, si schiantò a tutta velocità sulla secca davanti all’isoletta e nonostante l’utilizzo di cariche esplosive ci volle più di un mese per disincagliarlo. Seguì un’inquietante serie di suicidi dei successivi proprietari della villa: Grunback si uccise, e si uccise anche Braun, dopo la morte della moglie sbalzata fuori dalla teleferica da una mareggiata mentre ritornava sull’isola. Dal 1955 al 1965 fu proprietà del barone tedesco Paul Langheim, che ebbe una serie di disgrazie e dilapidò tutto il suo patrimonio. […] Nel 1984 la Regione Campania comprò l’isola per circa 800 milioni di lire all’asta fallimentare.
Tra le ville di Posillipo ci sono anche esempi di architettura domestica, il Casino Valente è una di queste; si tratta di una costruzione neoclassica, realizzata prima del 1845 dall’architetto Valente. Infine in viale Virgilio n. 3 si trova Villa del Vecchio Pozzo, costruita agli inizi del Seicento da Giovannangelo Barrile, barone di Sant’Arcangelo, duca di Caivano e segretario generale del Regno di Napoli. Si racconta che vi furono nascoste le armi da fuoco e tre cannoni che Masaniello impiegò in città durante la rivolta, scrivono Carbonaro e Cosenza. L’abitazione, grazie al restauro che ha operato il recupero filologo dei materiali originali, è utilizzata ancora oggi per meeting e cerimonie dalla società “Le Arcate”.
Moltissime ville di Posillipo sono purtroppo andate distrutte e di alcune se ne conserva solo una memoria fotografica, in generale molte sono utilizzate per ricevimenti e altre ancora invece sono vincolate in base alla legge 1089/1939. Infine, purtroppo, molte altre sono oggetto di abusi edilizi e stravolgimenti. Nonostante tutto, Posillipo e il suo fascino hanno arricchito le pagine della storia dell’architettura di Napoli.