Il nome Vomero, del noto quartiere di Napoli, viene fatto derivare dal gioco del “vomere”, antica gara contadina del posto che premiava chi avesse ottenuto con l’aratro il solco più dritto, racconta Carlo Celano. Inizialmente, si riferiva alla zona di via Belvedere – ove è presente l’omonima villa – quello che oggi è il Vomero Vecchio, poi estesosi a un territorio molto più ampio.
Come scrivono Yvonne Carbonaro e Luigi Cosenza nel loro Le ville di Napoli, la collina, punteggiata di masserie disseminate nei casali di Vomero, Antignano, Arenella, in epoca borbonica fu scelta da numerose famiglie nobili del regno per la costruzione di rilassanti e paradisiache dimore sull’esempio dell’antica Villa Belvedere, frequentata dai reali, e poi dalla Floridiana, donata dal re alla seconda moglie.
La Villa Belvedere, appartenuta all’omonimo principe, è posta sul crinale del Vomero, si affaccia sul golfo con una grande terrazza-giardino, ed è accessibile da via Aniello Falcone, al numero 56, e da via Belvedere al numero 33. La costruzione rappresenta uno dei primi insediamenti “importanti” sulla collina del Vomero e conserva ancora oggi alcuni degli elementi originari che la caratterizzano ormai da circa cinque secoli. Verso la fine del Seicento, in una zona suburbana, agricola, fu restaurato un casino delle delizie che era di appartenenza della famiglia di Biagio Altomare.
In merito a questo, il Celano, sempre nel suo Delle notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli, scrive: In questa stessa via si vedono bellissimi casini, e tra questi quello del Marchese Ferdinando Vandeneynden, quanto ricco, tanto virtuoso. A questo, stando di poco in buona salute, fu detto che quest’aria molto giovar poteva: che però, compratosi qui un casino molto delizioso dagli eredi del dottissimo Donato Antonio Altomare, fra lo spazio di un’anno e mezzo in circa, col. modello e disegno di Fra Bonaventura Presti, e colla spesa di 30.000 scudi, vi fece innalzare il presente casino, e accomodar la villa.
Villa Belvedere fu commissionata da Ferdinando Vandeneynden, marchese di Castelnuovo, che incaricò per i lavori Bonaventura Presti. L’edificio, realizzato tra il 1671 e il 1673, si trova nella Pianta ed alzata della città di Napoli del 1698 del Petrini ed è composto da due piani, dotato di una corte chiusa su tre lati e aperta a loggiato sul lato che rivolge verso Posillipo, dotata di quattro torri angolari. La villa ha un’architettura semplice che dialoga in modo particolare con il paesaggio. Infatti, l’edificio è orientato in direzione della collina di Posillipo. Importanti sono le decorazioni degli ambienti. Il piano nobile, ricco di soffitti dipinti, ne vede diversi realizzati da Luca Giordano. Inoltre, sono presenti arazzi, argenti e quadri, quasi come se fosse una vera e propria galleria d’arte.
Come raccontano ancora la Carbonaro e il Cosenza: nel 1717 Elisabetta ereditò il palazzo che diventò Carafa di Belvedere dopo il matrimonio dell’ultimogenita con Carlo Carafa, quarto principe di Belvedere. […] Il palazzo assunse intorno al 1730 le caratteristiche di villa e residenza extraurbana della famiglia Carafa, con un nuovo aspetto, adeguato al rango dei principi di Belvedere. Inoltre, sul finire del XVIII secolo, in precisione dell’imminente arrivo e soggiorno della regina Maria Carolina d’Austria, moglie di Ferdinando IV di Borbone, vennero eseguite altre opere tese a conferire alla villa un aspetto più regale e imponente, tanto che Salvatore Palermo nel 1792 la inserisce tra le “Reali Ville”. Le trasformazioni intorno alla metà del secolo sono leggibili nella pianta del duca di Noja del 1775 che indica l’antico casino al Vomero come “Palazzo e Villa de’ Carafa detti Belvedere”.