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La Terra non è una linea: l’economia (in)sostenibile

Fabiana Stornaiuolo di Fabiana Stornaiuolo
20 Maggio 2021
in Rubriche
Tempo di lettura: 4 minuti
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«Doc, io vengo dal futuro! E ho bisogno del tuo aiuto per tornare all’anno 1985!». Chi non si sente un po’ Marty McFly, dopo aver guardato il tempo scorrere dal cielo di Google Earth, nella versione Timelapse? La nuova modalità offerta da Google mostra trentasei anni raccolti in più di ottocento video e venti milioni di immagini per chi ha bisogno di vedere per credere.

La Terra, si sa, ha un clima ballerino. Se già ogni anno marzo è pazzo, lo è ancora di più l’alternarsi di ere glaciali e interglaciali che congelano e scongelano il pianeta nel corso dei millenni. Ma l’uomo, che è a immagine e somiglianza di Dio, non ha perso l’occasione per compiere il suo piccolo miracolo: Il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile, e, dal 1950, molti dei cambiamenti osservati sono senza precedenti negli scorsi decenni e millenni. Eccola, la sua divina firma. Descritta dall’allarmante bollettino dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l’atmosfera e gli oceani si sono riscaldati, la massa di neve e ghiaccio è diminuita, il livello del mare è aumentato, e le concentrazioni di gas a effetto serra sono aumentate.

A ricordarci quanto sia insostenibile il nostro modello di economia lineare, c’è l’Overshoot Day, il giorno di sovrasfruttamento di risorse disponibili per l’intero anno. In Italia, questo appuntamento è arrivato il 13 maggio scorso. Siamo ufficialmente in debito con la Terra. Per reggere lo stesso ritmo, solo al nostro Paese servirebbero quasi tre pianeti.

Senza Doc a riportarci nel 1985, dunque, non c’è soluzione: dobbiamo rassegnarci all’oblio. Accaparriamo tutto quello che possiamo. Raccogliamoci intorno ad amici e parenti – rigorosamente vaccinati e con mascherina, facciamo una bella ordinazione al supermercato senza dimenticare posate e bicchieri di plastica (non possiamo mica metterci a fare i piatti a un passo dalla fine!) – e rifuggiamo insieme l’afflizione nell’ottundimento dei sensi.

Oppure… Cosa succederebbe se, invece di comprare, usare e gettare, iniziassimo a comprare, usare e ricreare? Non si tratta di differenziata, ma di rivoluzione dell’intero settore produttivo capace di auto-rigenerarsi, attraverso il rientro degli sprechi e nessun ulteriore sfruttamento di risorse. Se credete sia impossibile, ricredetevi. Si chiama economia circolare e si fonda sul modello ciclico della natura per cui nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. In questo modo, i rifiuti creerebbero capitale, diventando materie prime per un nuovo ciclo produttivo.

L’economia circolare non inciderebbe solo sul clima, ma anche sul concetto di proprietà: i prodotti, creati in parte con materiali riciclabili e in parte con componenti compostabili, sarebbero concessi ai consumatori in permuta per poi tornare ai produttori; il tutto sorretto dall’uso di energie rinnovabili. Questa rivoluzione non solo è possibile, ma è già iniziata.

Guardiamo le stime italiane. Mentre l’alluminio prodotto è interamente proveniente da materiale riciclato, un milione e mezzo di tonnellate di cibo finisce in discarica. Tra gli sprechi maggiori, il nostro Paese consuma approssimativamente sei milioni di pannolini al giorno, non riciclabili. Per far fronte a questo problema, sono in corso sperimentazioni su nuove tecnologie capaci di separare plastica e carta in essi contenuti. Ma se ancora tanta strada va percorsa, molte aziende cercano di stare al passo.

Esempio celebre, il progetto CartaCrusca della Barilla, in collaborazione con Favini, volto a recuperare la crusca – non più commestibile – derivante dalla macinazione dei cereali. Così, un rifiuto diventa materiale per un nuovo packaging. Sulla stessa lunghezza d’onda, Ferrero, in collaborazione con centri di ricerca internazionali e università, è riuscita a estrarre dal guscio delle nocciole il 20% di Axos, una fibra prebiotica salutare per l’organismo; mentre il resto del guscio – in totale il 55% delle nocciole usate – veniva già riutilizzato come combustibile energetico. Nascono così la green e la blue economy: modelli economici che mirano a ridurre l’impatto ambientale e abbattere l’emissione di CO2.

L’Unione Europea ha fissato come obiettivo di neutralità climatica il 2050. A oggi, solo in Europa si contano almeno quattro milioni di posti di lavoro occupati nell’economia circolare, con probabile creazione di un altro milione di occupazioni entro il 2030. Si prevede inoltre un risparmio di seicentoquattro miliardi di euro, con un aumento del PIL comunitario dell’1%. L’economia circolare, dunque, sembra la chiave di volta per riavere indietro il futuro. Ha solo una grande falla: per funzionare, ha bisogno della partecipazione di tutti.

Abbracciare il concetto di circolarità significa, infatti, scegliere uno stile di vita sostenibile sotto ogni aspetto. Economia, produttività, sostenibilità climatica e benessere sociale non sono più pensabili in modo separato. Il Pianeta Blu non ha la forma di una linea. Gli esseri umani non sono la punta di una piramide, ma i coabitanti di un sistema in grado di auto-sostenersi. E se non serve essere comunisti per convenire, con Marx, che è del tutto irrazionale un mondo in cui ci sono risorse sufficienti per tutti, ma molti muoiono di fame, ripensare l’economia significa ripensare il concetto di umanità. In questo postumanesimo, ognuno di noi può essere distruttore o custode. Fino a ieri, molto è stato distrutto. Oggi, chi vogliamo essere?

Prec.

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