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La meccanica del sexting

Deborah D'Addetta di Deborah D'Addetta
28 Aprile 2025
in Paprika
Tempo di lettura: 8 minuti
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[…] Scopami per le scale, al buio, come una bambinaia che d’improvviso diventa l’infermiera dei sogni del soldato, mentre gli sbottona i pantaloni, infila la mano nella patta, trova la camicia, la sente umidiccia, la scosta e gli tocca le palle in fiamme e tira fuori audacemente l’arma di carne che tanto le garba e comincia a stuzzicarla con molto riguardo, mormorandogli all’orecchio parole sconce e storie sconce che le altre ragazze le hanno raccontato, e per tutto il tempo bagnandosi le mutandine di piacere […] fin quando il suo clitoride non è rigido come il cazzo di lui, se lo infila dentro e lo cavalca […]

Non è un testo di fiction né la citazione di un film. È un James Joyce ventenne, che in questa lettera alla sua fidanzata dell’epoca, Nora Barnacle, si firma Jim.

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Potremmo smentire la diffusa convinzione che il sexting sia un fenomeno solo attuale dicendo che la corrispondenza privata dei secoli scorsi era, di fatto, la sua antenata. Le persone hanno sempre amato parlare di piacere, soprattutto nel circuito chiuso di una lettera o, nel nostro caso, di una chat.

E se andiamo ancora più indietro, anche il Kamasutra racconta codici, simboli e gesti che spiegano la comunicazione tra amanti. Qualche esempio: se si baciava lo specchio in cui era riflessa la persona amata, beh, quello era il segno di un desiderio molto forte; il simbolo dell’uva nel testo indicava una booty call, cioè una sveltina, mentre il cardamomo stava per “amore appassionato”.

Oggi usiamo gli emoji: la pesca per il lato b, il cuore viola per l’eccitazione, la goccia per l’orgasmo, la melanzana per il pene. Insomma, abbiamo solo cambiato la morfologia delle parole e dei simboli, e il luogo in cui farli circolare, ma non i nostri desideri.

Quando decido di interpellare i miei lettori e le mie lettrici, mi meraviglio sempre di quanto abbiano da dire: l’argomento “sexting” in particolare ha acceso un dibattito vivace, segno di un interesse e di un uso molto forti.

A grandi linee, pare che quasi tutti/e facciano sexting (o lo abbiano provato almeno una volta). Il nodo interessante non sta nel se, ma nel come. Se dovessi riassumere, a prescindere da chi mi ha risposto – uomo o donna – riesco a tracciare una manciata di pattern simili: c’è chi ama molto praticare sexting perché lo vede come un modo per ravvivare la coppia, eccitare a distanza, sentirsi vicini a un partner lontano, oppure perché lo usa come un preliminare virtuale, un modo per testare il proprio erotismo; lo vede come un luogo in cui rompere le inibizioni, in cui – e cito alcune donne che hanno risposto in modi simili – dare il meglio di sé. Lo spazio virtuale per alcune persone è una sorta di camerino di prova: nessuno tocca, nessuno giudica, si può inventare un’intera storia di fantasia solo guardando uno schermo. In questo caso, il potere delle parole è una determinante: molte lettrici hanno sollevato proprio il divertimento di costruire una narrazione tramite cui accendere l’eccitazione e la fantasia, per loro e per gli altri.

Che vuol dire “dare il meglio di sé”? È evidente che alcune persone nello spazio virtuale si sentano più al sicuro, hanno meno paura di essere giudicate, possono esprimersi in modi che magari dal vivo le metterebbero a disagio.

Tra chi ama praticare sexting ci sono ovviamente dei sottogruppi: chi ne parla senza problemi, chi lo fa ma non lo dice, chi lo fa e se ne vergogna, chi lo reputa uno strumento utile per accendere la miccia per poi incontrare l’altra persona dal vivo e chi esaurisce la carica del desiderio online e fine. Abbiamo fatto sexting, come se avessimo scopato, arrivederci e grazie. È un fatto. E non c’è niente di male se tutti sono contenti, no?

Il primo segnale di una contestazione sfrigola qui: chi critica il sexting lo fa perché ritiene che sia una pratica sterile e spersonalizzante che rischia di soppiantare completamente il sesso e le interazioni interpersonali dal vivo.

E veniamo quindi a chi non ama il sexting: la protesta più importante mette radici proprio nel timore che, un giorno, il virtuale rimpiazzi il vero. E dico vero per un motivo: perché queste persone pensano al sexting come a una cosa che si stacca dalla realtà, una cosa finta, plastica, altra.

Molti dicono di annoiarsi, altri ancora – donne soprattutto – lo temono e vi si avvicinano con molta cautela per paura che le proprie foto intime finiscano chissà dove, mostrate a chissà chi. Anche questo è un tema: la possibilità di un revenge porn è un deterrente per le persone più caute. Allora una domanda interessante potrebbe essere: è il timore che frena? E se il sexting fosse completamente sicuro, le donne si aprirebbero con maggiore serenità? Sfido qualunque donna a non averci pensato due volte prima di aver deciso di mandare un nudino a qualcuno.

Un paio di mie lettrici ha sollevato questa questione: mi piace farlo ma solo con chi conosco e ho già incontrato. No sconosciuti. Per contro, un’altra amica ha protestato dicendo che, seppure quella persona la conosci dal vivo, non c’è sicurezza che non si comporterà comunque in modo sbagliato. Un’altra ancora ha felicemente ammesso che si fida del suo istinto e pace all’anima dell’ansia. Un amico usa il sexting come modo per rompere il ghiaccio in vista di un incontro dal vivo, un altro vorrebbe normalizzarlo anche quando non è finalizzato a una relazione.

Se dovessi fare una stima, direi che metà delle persone del mio campione fa sexting senza pensare tanto a chi, come, quando e perché; l’altra metà lo fa comunque ma teme le conseguenze, che siano etiche, antropologiche, sociali; un’altra piccola percentuale lo rifiuta e basta perché ha avuto brutte esperienze, perché non si fida, perché rema contro la tendenza attuale – così pare – che vede sempre meno persone fare sesso.

Non è una tendenza da negare: molti professionisti sostengono che le persone, soprattutto quelle più giovani, non sanno come approcciare al sesso. Che smettono di farlo o non iniziano affatto perché preferiscono le interazioni virtuali.

Ecco, i detrattori del sexting odiano questa deriva, i fan invece sostengono tutto il contrario, cioè che il sexting è una naturale evoluzione dei nostri rapporti, considerato che oggi la maggior parte delle conoscenze avviene online. Non possiamo negare anche questo: vi invito a pensare a quante persone care avete incontrato in una chat di Instagram, Facebook, Tinder.

Allora perché è così difficile ammetterlo? Siamo a metà strada della nostra evoluzione, molto probabilmente, anche se il mondo si è quasi rotto i maroni di noi; siamo animali, il sesso e il suo potere sono il nostro scopo (se la pensiamo in termini evolutivi e riproduttivi) e il nostro sfogo. Eppure quando una donna dice di amare il sexting passa per una poco di buono, quando lo dice un uomo passa per pervertito o morto di figa. I miei stessi interlocutori, pur ammettendo di praticarlo, hanno tenuto a specificare di non farlo con tutte, come se il giudizio cattivo fosse dietro l’angolo. Questo atteggiamento cauto mi fa molto pensare. Passa l’assunto che vale anche per il sesso: “si fa ma non si dice”.

Perché? Mi interessa questa meccanica mentale.

La donna passa per una poco di buono: alcune delle mie lettrici sono stanche della narrazione che vuole la donna elegante e garbata in società ma gran porca a letto. Lo trovano stancante: il sexting ovviamente fa la parte del letto e alcune lo rifiutano proprio perché non voglio rientrare in questa categoria (diciamo pure che è una presa di posizione femminista). Questo è anche il motivo per cui, se lo fanno, cedono dopo: dopo aver conosciuto dal vivo l’altra persona, dopo averci parlato, dopo essersi assicurate (più o meno, perché non c’è certezza matematica) che non saranno malgiudicate.

Gli uomini passano per pervertiti: dei miei lettori posso tracciare uno schema molto più preciso. Da una parte ho parlato con uomini molto sciolti, distesi sull’argomento, io li chiamerei epicurei, che non si fanno problemi o troppe domande e che si divertono con le loro partner, occasionali e non. Dall’altra, quelli che si fanno domande se le fanno davvero in grande: persone molto consapevoli, che pesano le parole, che si interrogano sulla direzione in cui stiamo andando, che vorrebbero qualcosa di più di un semplice scambio di foto o video hot. I socratici.

E poi ci sono i disillusi, i romantici: quelli che hanno sperimentato il sexting ma hanno appeso, e cito testualmente, il desiderio al chiodo perché tutto quello che cercano è un po’ di calore, perché chi ha interagito con loro ha usato il sexting come uno strumento fine a se stesso e non come un principio di qualcosa di concreto. Solitamente questi ultimi sono quelli che odiano il sexting.

Siamo comunque tutti d’accordo quando diciamo che, se si deve fare, deve essere spontaneo e non forzato. Ovvio che c’è anche chi non si sa comportare, sia da una parte che dell’altra, e le remore maggiori derivano proprio da questi atteggiamenti.

Un’altra domanda interessante che è arrivata dalle mie interviste è questa: c’è una corrispondenza tra carattere e uso del sexting? Mi spiego: la mia lettrice si interrogava su questo: chi ama fare sexting è una persona che ha più timore di parlare a voce di sesso? Che ha paura di lasciarsi andare dal vivo? Che è timida nella vita? Si sente più sicura a interagire senza troppe implicazioni? E chi invece preferisce le relazioni “vere” è una persona più forte, più consapevole di sé?

Per riassumere: esiste un pattern comportamentale tra chi ama fare sexting e chi invece non lo ama?

Istintivamente rispondo di no: ho amiche e amici che fanno sexting molto consapevoli e sicuri di sé, che parlano di sesso senza troppi giri di parole, così come ne conosco altri che nonostante sembrino timidi o molto riservati si scatenano a letto e preferiscono fare sesso di persona. Non esiste, a mio avviso, un “tipo”, una classificazione: l’unica differenza che mi sento di sottolineare è la consapevolezza. A prescindere che piaccia o meno, il sexting è un modo di approcciarsi a un’altra persona, spesso che non si è mai vista o incontrata: se una persona lo usa per quello che è, cioè uno strumento, e lo fa con garbo e cognizione di sé, allora siamo tutti felici. Con garbo non intendo dire che invece di dire cazzo dico membro o fringuello, non è una questione semantica – ciò che si dice in certi momenti è del tutto lecito – ma intendo con rispetto dell’altro, con buon senso. Ascoltare è la chiave, intuire se una cosa può andare o no, non credere che lo schermo ci protegga dalla maleducazione o dall’insensibilità.

Poi, ognuno può scegliere di farlo o no. È del tutto lecito anche rispettare le persone che invece di mandarti un nudino preferiscono prendere un caffè e poi portarti a casa o in hotel o sognare di fare di te una bambinaia che per il soldato diventa un’amorevole infermiera lasciva che infila le mani nelle sue mutande, ma senza per forza dirtelo in una chat. Magari te lo vuole dire guardandoti negli occhi. È erotico alla stessa maniera, no? Qualcuno direbbe: di più.

D’altra parte, nessuno si sarebbe sognato di dire a Joyce: «Ma che fai? Scrivi lettere pornografiche alla tua compagna? Perdi tempo, diglielo di persona». Ognuno ha i propri canali per esprimere il desiderio, e poi fatti i cazzi tuoi.

Non c’è una regola. Anzi, forse una sì: essere rispettosi degli altri e del modo in cui esprimono il proprio desiderio. È importante e potrebbe fare la differenza.

Prec.

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