Questa settimana, abbiamo deciso di dedicarci alla serie che negli ultimi otto anni, più di ogni altra, ha saputo coagulare l’immaginario collettivo mondiale attorno a un universo fantasy decisamente sui generis, basato su uno storytelling avvincente, brillante e molto scaltro. Stiamo ovviamente parlando de Il trono di spade (Game of Thrones), la saga nata dalla penna di George R. Martin e portata sullo schermo da David Benioff e D. B. Weiss. In particolare, parleremo del terzo episodio dell’ottava e ultima stagione, andato in onda domenica 28 aprile. Tassello epocale che ha chiuso una fase fondamentale della serie e ha suscitato molte reazioni emotive, nonché discussioni in rete.
Finalmente è arrivato il momento che tutti aspettavano: lo scontro definitivo tra gli uomini e gli Estranei, l’evento che deciderà della sopravvivenza della razza umana nel mondo di Westeros. Per quei pochi sul pianeta che non sanno di cosa stiamo parlando, gli Estranei (White Walkers) sono una variante fantasy dei nostri cari vecchi zombie, con la differenza che in questo caso sono il frutto di un’operazione magica che i Figli della Foresta – creature fatate ed elementali tipiche del folklore nordico – misero in atto millenni fa per difendersi dagli uomini che li stavano massacrando. Infilzando un essere umano con un coltello di ossidiana, dunque, lo tramutarono in un essere magico e glaciale, il Re della Notte, di cui persero molto presto il controllo.
Il primo degli Estranei aveva il potere di trasformare gli esseri viventi in suoi simili e non solo: poteva persino resuscitare qualsiasi cadavere, anche in avanzato stato di decomposizione, rendendolo un non-morto al suo comando. L’esercito del Night King, con il suo avanzare scomposto, ricorda non poco l’Armata delle tenebre (1992) di Sam Raimi, ma mentre lì il tono era semi-goliardico e nettamente meta-cinematografico – si trattava di un omaggio al genio della stop-motion Ray Harryhausen –, qui le cose si fanno decisamente più inquietanti. Gli Estranei sono famelici e velocissimi, con loro non si scherza.
Otto millenni dopo, quindi, arriviamo alla resa dei conti tra l’armata del Re della Notte e gli umani che, messe per un po’ da parte le schermaglie politiche per la conquista del Trono di Spade, si ritrovano quasi tutti – tranne la furba e malvagia Cersei Lannister – sotto la stessa bandiera per garantire la sopravvivenza alla razza umana.
ATTENZIONE SPOILER DA QUI IN AVANTI: chi è appassionato ha sicuramente già visto l’episodio. Chi non segue la serie, invece, non si porrà il problema.
Nell’episodio in questione, la maggior parte dei protagonisti è fatta convergere a Grande Inverno (Winterfell), la fortezza patria della casata Stark, per affrontare una volta per tutte la minaccia degli Estranei. Dopo due puntate di preparazione piuttosto lente ma necessarie – durante le quali molti personaggi si sono ritrovati, alcuni con questioni importanti in sospeso –, siamo finalmente al fulcro della serie. Lo scontro con gli esseri della notte era stato preparato sin dal primo episodio dell’ormai lontana prima stagione, nel quale alcune guardie degli Stark furono fatte fuori in pochi secondi dagli Estranei sfuggiti alla Grande Barriera. La lunga notte è forse l’episodio con la battaglia più epica e visivamente affascinante dell’intera serie.
I primi minuti sono intrisi di un’ansia palpabile: la lunga attesa prima dell’attacco, topos presente in tutti i film di guerra in cui ci sono situazioni di assedio, è resa benissimo. La tensione viene sottolineata dall’efficace piano-sequenza iniziale – chapeau al regista Miguel Sapochnik – in cui seguiamo in particolare l’impaurito Sam, poi un insolitamente lugubre Tyrion, infine l’impassibile Bran accompagnato da Theon che si preparano alla guerra finché la camera si alza a scoprire le mura del castello. La macchina da presa segue, senza soluzione di continuità, prima un personaggio poi il successivo, in un avvicendarsi di sguardi e punti di vista che sarà anche la cifra stilistica dell’intero episodio. La frammentazione dello sguardo sull’evento è la soluzione più efficace per raccontare una situazione così caotica e devastante.
A proposito di caos, molti fan in rete si sono lamentati del fatto che questa battaglia non presenti la stessa complessità e verosimiglianza militare – tutti si sono svegliati strateghi militari in questi giorni, manco fossero novelli Sun Tzu, autore del tomo L’arte della guerra –, di altri scontri visti nella serie. Il riferimento è soprattutto la battaglia delle Acque Nere (episodio 2×09) ma, a ben vedere, è un falso problema. Contro la massa inarrestabile di non-morti era difficile prevedere una qualsivoglia strategia precisa. A parte l’unica idea possibile e cioè di usare Bran Stark come esca per far uscire allo scoperto il Re della Notte e farlo flambé con l’alito di fuoco dei draghi della Regina Daenerys. Lo scopo principale, tuttavia, è semplicemente resistiamo finché possiamo. Ricordiamo, inoltre, che stavolta la battaglia non è tra due fazioni in lotta per il potere, ma si tratta di uno strenuo e disperato tentativo da parte della razza umana di opporre un’ultima resistenza al Male puro e ineluttabile – come direbbe Thanos – contro il quale nessuna tattica è vincente. E infatti la situazione precipita velocemente.
Il primo attacco dei guerrieri Dothraki, i prediletti della Regina dei Draghi, Daenerys, viene malamente rigettato, tra l’altro con una soluzione visiva molto bella che ci fa intravedere soltanto le luci delle loro spade – opportunamente infiammate dalla maga Melisandre – che man mano si spengono in una marea nera che avanza inesorabile. Niente scontri ravvicinati nei primi momenti della battaglia quindi, ma solo lo spegnersi delle luci in lontananza che indica la disfatta della prima ondata di difesa e l’affievolirsi della speranza. Se anche i selvaggi Dothraki sono stati sconfitti così facilmente, allora non c’è molto da fare. Dopo poco, dal buio emerge qualcosa di ancor più nero, la massa di non-morti che tutto travolge. Qui comincia il massacro vero e proprio. Brutale, veloce, letale, montato in maniera talmente serrata che è difficile distinguere sempre bene chi cade e chi resta in piedi. Ma è proprio così che succede in una furibonda battaglia notturna.
A poco serviranno i due draghi di Daenerys che, dopo un primo barbecue di Estranei, saranno disorientati da una tempesta di neve provocata dal Re della Notte. Ghiaccio contro fuoco, i due elementi che hanno caratterizzato la saga sin dal titolo originale – Le cronache del ghiaccio del fuoco – che qui vediamo finalmente concretizzati. Il carattere disperato dell’ultima difesa umana contro il male che avanza richiama direttamente le grandi battaglie de Il signore degli anelli, in particolare quella del fosso di Helm da Le due torri (2002), punto di riferimento cinematografico per quanto riguarda situazioni di assedio a carattere fantasy. Va detto, però, che il minutaggio effettivo dei due scontri è per forza di cose molto sproporzionato: quello di Helm occupava una bella porzione di un film di due ore e mezza che comunque doveva mostrare anche tante altre cose, mentre in GoT gli autori hanno potuto dedicare un intero episodio, tra l’altro più lungo del normale – ottanta minuti –, al solo conflitto. Proprio per questo sarebbe improvvido paragonare le scene come è stato già ampiamente fatto da molti fan. La battaglia del fosso di Helm rimarrà stampigliata per sempre nella memoria cinematografica così come questa de La lunga notte resterà scolpita nell’immaginario televisivo. Senza nulla togliere a nessuna delle due.
Altra critica mossa è in merito alla fotografia ritenuta troppo scura, al punto che molti dettagli non si sono distinti nettamente. Fermo restando che l’oscurità è stata la caratteristica visiva di molti scontri epici della storia del cinema – da Excalibur fino a Il Signore degli anelli –, crediamo che il lavoro del direttore della fotografia Fabian Wagner sia stato eccelso: la notte illuminata dai chiarori delle fiamme dei draghi prima e delle trincee accese dopo è semplicemente magnifica. I chiaroscuri sui volti degli attori riverberati dalla luce delle fiamme sono terribilmente suggestivi. Il cielo illuminato dalla luna nel quale si scontrano i draghi di Daenerys e quello zombificato del Night King, incorniciato da una coltre di nembi minacciosi, sembra un dipinto di Alan Lee, uno dei più famosi illustratori fantasy. Visivamente questo episodio non ha nulla da invidiare a tanto cinema, sia fantasy che di guerra. Una ragione di tante polemiche va forse ricercata anche nel fatto che Game of Thrones viene fruito spesso sugli schermi piccoli dei PC, con streaming in bassa qualità. Lo stesso Wagner ha ammesso che perfino gli standard qualitativi dello streaming ufficiale della HBO non garantiscono una visione ottimale.
Nella seconda parte, quando l’Esercito della Notte penetra nella fortezza degli Stark, da film di guerra l’episodio si trasforma – come ammesso dagli stessi autori – in un vero e proprio survival-horror, dai toni quasi carpenteriani: un tema caro al maestro John Carpenter è infatti l’assedio da parte di Altri da sé non ben identificati. In questa fase, l’indomita e giovane Arya Stark – interpretata da una Maisie Williams orma cresciuta e svezzata in concomitanza con la serie – diventa protagonista di una scena al cardiopalma nella biblioteca del castello. Qui dovrà riuscire a sgattaiolare via tra gli scaffali, senza farsi sentire dai non-morti che hanno invaso le sale. Forse più che Carpenter, la situazione ricorda i due ragazzi che, nelle cucine, sfuggivano ai veloci-raptor nel classico Jurassik park.
Quando tutto sembrerà perduto, sarà proprio Arya a porre fine alla guerra e a salvare la razza umana trafiggendo a sorpresa il Re della Notte con il pugnale di acciaio Valyrio, proprio un attimo prima che questi uccida il fratello Bran Stark, che fungeva da esca nel giardino di Winterfell, rendendo così inoffensiva tutta l’armata dei cadaveri. A molti, questa soluzione è sembrata eccessivamente sbrigativa e in effetti lo è, se consideriamo che gli Estranei erano la minaccia principale di tutta la serie e che ora, come villain principale, resterà solo la ben più umana, ma comunque pericolosissima, Cersei. Non si può negare, però, che il momento in cui Arya interviene a sorpresa, gettandosi coraggiosamente sul Re della Notte, rimarrà nella storia come una di quelle scene strappa-applausi che dopo un’ora e un quarto di lotta disperata e massacri, regala quel sospiro di sollievo catartico che solo le grandi narrazioni epiche sanno elargire. È significativo, inoltre, che la lama usata per uccidere il Night King sia la stessa utilizzata nella prima stagione per cercare di uccidere Bran, poi passata di mano in mano.
Altro problema di questo episodio è che ci si aspettava un confronto chiarificatore tra il Re della Notte e Bran Stark, il ragazzo reso oracolo dal corvo a tre occhi, che è diventato il simbolo del lato mistico di GoT. Nel corso delle stagioni abbiamo assistito a un legame telepatico sempre più forte tra il rampollo degli Stark e il Night King, tanto è vero che alcuni in rete ipotizzavano inquietanti connessioni tra i due. Il fatto che Bran faccia solo da esca per uccidere il Primo Estraneo, ma non si chiarisca il loro legame, lascia effettivamente interdetti e insoddisfatti.
È comunque Arya, il personaggio la cui evoluzione è stata tra le più interessanti, a chiudere la partita con i non-morti, a dispetto di chi si aspettava un confronto tra Jon Snow – quasi inutile invece in questo frangente – e il Re della Notte. Nel corso della serie la giovane Stark, da personaggio inizialmente defilato, ha saputo incarnare al meglio lo spirito di Game of Thrones, che dell’evoluzione imprevedibile dei protagonisti ha fatto una cifra narrativa. Passando attraverso esperienze terribili, la Stark ha subito un durissimo apprendistato dalla vita che non è stata affatto tenera con lei, arrivando a vivere una vera e propria iniziazione esoterica – la setta degli Uomini senza Volto – che le ha permesso di distaccarsi dalla sua maschera sociale e dal suo vecchio ego per diventare consapevole di sé e delle proprie possibilità.
La battuta di Arya, Non oggi, in risposta alla maga Melisandre che le chiede Che cosa diciamo al dio della morte?, riecheggia già in tutto il web. Tale sentenza riprende gli insegnamenti del maestro Sirio Forel che, nella prima stagione, poneva la stessa domanda a una giovanissima Stark. Chi ha la memoria corta dovrebbe però andare a risentire il discorso di incitamento di Aragorn alla fine de Il ritorno del re e vedere se il Non oggi non richiama terribilmente il Non è questo il giorno esclamato da Viggo Mortensen nella pellicola di Jackson.
Molti fan avranno storto il naso per la scelta di affidare al personaggio interpretato da Maisie Williams la scena risolutiva di tutta la serie ma, a pensarci bene, è stata un’opzione, sì sorprendente, ma assolutamente coerente da parte degli sceneggiatori. Se una serie, arrivata all’ultima stagione, riesce ancora a disattendere le attese trovando soluzioni imprevedibili e facendo discutere tanto vuol dire che funziona alla grande. Ora restano gli ultimi tre episodi per vedere in che modo, finalmente, faranno fuori la villain più crudele e odiosa di GoT, l’affascinante e indistruttibile – forse – Cersei.