Litigi, discussioni, divisioni, colpi di scena, invidie, reviviscenze, intrecci familiari, scandali. Sembrerebbe una puntata della nota soap opera Un posto al sole, invece è l’attuale scenario politico italiano. Soprattutto se ci riferiamo al Partito Democratico, come si può facilmente notare non appena si guardi un notiziario o si sfogli un quotidiano. Il discorso potrebbe risultare semplicistico – e per certi versi non sorprenderebbe se venisse tacciato anche di “populismo” – eppure, mai come in quest’ultimo periodo, la politica pare totalmente ripiegata su se stessa, intenta, cioè, a districarsi tra scissioni, posizionamenti e strategie, lasciando che le agende programmatiche, le proposte e le idee passino in secondo ordine. Ogni mattina, un deputato, un senatore, o chi per lui, si sveglia e sa che dovrà sgomitare con qualcun altro se vorrà mantenere, appunto, un “posto al sole”, in qualche nuova, o forse non poi così recente, compagine in via di delineamento. L’evocazione mussoliniana, ovviamente, non è voluta.
Dinanzi a questo ingarbugliamento generale, alquanto fastidioso, oltre che capace di destare sconcerto e turbamento anche nel migliore degli analisti politici, si sfida chiunque a non nutrire il desiderio di lasciare tutto alle spalle e di immaginarsi – non a caso – in un posto caldo, pieno di luce, magari in Sud America. Tralasciando la vena ironica, anche perché il fenomeno che riguarda chi scappa dal nostro Paese è serio e importante nella sua gravità, è interessante soffermarsi a riflettere proprio su una realtà emergente dell’America Latina in relazione alla quale sarà possibile affrontare una critica e un’analisi del nostro stesso sistema.
Parliamo dell’Uruguay, una piccola nazione al confine con l’Argentina e il Brasile, la quale nel 2013 è riuscita a meritarsi il titolo di “Paese dell’anno”. Dal 2010 al 2015, infatti, a rivestire il ruolo di Presidente è stato José Alberto Mujica Cordano, meglio conosciuto, ormai nel mondo intero, semplicemente come Pepe Mujica. Nato a Montevideo nel 1935, da padre di origine basca e madre di origine ligure, con un passato sempre in prima linea sul fronte dell’impegno politico e profondamente segnato da una dura prigionia nel periodo dittatoriale, Mujica ha saputo rappresentare, per la sua terra e per la sua gente, una possibilità di riscatto in un contesto di estrema difficoltà socio-economica, purtroppo spesso tipica di molti paesi del Sud America. Durante il mandato di Pepe Mujica, che ha deciso di non rinnovare in fase di scadenza, per l’Uruguay ci sono state grandi innovazioni, tanto sul piano economico quanto su quello civile, dal momento che questi due ambiti non si prescindono, bensì si implicano. Volendo annoverare le principali riforme varate sotto la sua presidenza, si possono citare l’introduzione di un reddito di cittadinanza minimo, l’investimento nelle energie rinnovabili, la legalizzazione delle droghe leggere, la depenalizzazione dell’aborto e l’approvazione dei matrimoni per le persone omosessuali.
I risultati sono stati molto apprezzabili, ma ciò che più di tutto ci ha impressionato è stato l’esempio concreto che quest’uomo, dall’aspetto bonario e simpatico, è riuscito a testimoniare nel suo quotidiano, dando prova, con semplicità, di estrema coerenza e fermezza. Pepe Mujica, infatti, ha drasticamente ridimensionato il suo compenso, arrivando a percepire l’equivalente mensile di 800 euro. Ha, inoltre, devoluto il novanta per cento del suo profitto a delle associazioni benefiche e si è sempre rifiutato di andare a vivere nella residenza presidenziale, continuando ad abitare e lavorare nella sua fattoria in campagna. Non a caso, l’uruguaiano si è meritato l’appellativo di “Presidente più povero del mondo”.
Chi ha conosciuto Pepe Mujica racconta di averlo visto aggirarsi con stivali sporchi di terra e con un’autovettura d’epoca, sempre accogliente e pronto a dispensare pillole di saggezza. Oltre alla concretezza del suo esempio, difatti, l’ex Presidente è riuscito – e riesce tutt’ora – come in un suo recente intervento a Roma, a pronunciarsi in discorsi di raro spessore morale, politico e intellettuale, dai quali si può desumere la sua altrettanto rara levatura. Con la sua capacità oratoria su temi come la felicità, la sobrietà e la lotta agli sprechi, al materialismo e al consumismo, ha saputo conquistare il cuore di tanti occidentali giovani e meno giovani, anche italiani, che negli ultimi anni sentono di avere un vuoto rappresentativo a sinistra.
Proprio in tal senso, dunque, Pepe Mujica è capace di fornire una grande lezione e, per l’appunto, dovrebbe essere studiato, ascoltato e magari emulato dai politici nostrani in primis. Da quelli che hanno fatto dell’onestà a tutti i costi un marchio distintivo, rivelatosi, però, un contenitore fine a se stesso, sterile e incapace di approdare a dei risultati utili, fino a quelli che, pur provenendo da una cultura come quella di Enrico Berlinguer, circondato da operai e da sempre attento alla “questione morale”, non sono stati liberi di camminare per strada in mezzo ai lavoratori, agli studenti e alla gente, poiché fautori di politiche liberiste, votate al capitalismo e lontane dai bisogni del popolo. E, ancora, dovrebbero essere colte e recepite la bellezza dell’eloquio, l’ars oratoria, lo spessore morale, la disamina lucida e non faziosa delle problematiche, la carezza e l’attenzione verso i più bisognosi, la capacità di veicolare messaggi di intenso profilo umano: tutte quelle qualità che rendono un individuo meritevole della definizione di “politico”, ma che, purtroppo, seppur con le dovute eccezioni, oggi scarseggiano nei nostri amministratori e rappresentanti. Proprio per questo, si possono ben capire i motivi per i quali si ha tanta nostalgia dei cosiddetti “padri” del passato.
In questi giorni, si parla tanto di scissioni interne, ma l’unica vera rottura che avvertiamo sulla pelle è quella della politica in generale rispetto alle nostre vite. C’è una ferita profonda, una frattura anti-politica, di sfiducia, di malcontento, la quale rischia di essere ricucita da personaggi che vogliono fare di un carisma ambiguo e divisivo, degno dei peggiori uomini dello scorso secolo, la legittimazione del loro potere. Urge tornare ad accostarsi in maniera sana e partecipata all’impegno per il sociale e per la collettività, dal momento che, come insegnato anche dall’ex Presidente dell’Uruguay, la Politica può meritare la maiuscola e, nella sua accezione più alta, sa persino essere bella. Certo, considerando quanto ci circonda, è difficile a dirsi, ma l’arte del governo, quando è tale, è l’espressione più nobile del nostro vivere insieme, fin dall’antichità. Riprendiamoci le idee, la passione, la voglia di cambiamento, l’entusiasmo, la partecipazione e, per citare Gaber, la libertà. Riprendiamoci la Democrazia e il nostro essere umani, animali sociali, contro chi vuole semplicemente accarezzare i nostri egoismi, la nostra rabbia e le nostre fobie, marciandovi sopra e rendendoci deboli nella nostra ostilità verso gli altri. Non lasciamoci abbagliare da leader di dubbia caratura, da quegli “uomini forti” che qualcuno ritiene necessari per l’assetto globale, ma che sembrano volerci far ripiombare nel baratro di una politica retriva. Piuttosto, dimostriamoci capaci di discernere e individuare, in base all’impegno, all’umiltà e all’esempio fornito, quali sono le donne e gli uomini meritevoli della nostra fiducia perché adeguati a gestire la cosa pubblica. Tra Donald Trump e Pepe Mujica? Fate la vostra scelta.