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La Disney è democristiana

Noemi De Luca di Noemi De Luca
5 Marzo 2022
in Attualità
Tempo di lettura: 5 minuti
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Walt Disney Pictures presenta: L’omofobia dell’imperatore, nei migliori cinema. Sì, sto punzecchiando la grossa multinazionale che ci ha trasportati nel mondo delle fiabe, tra castelli incantati, vestiti da sogno e canzoncine gioiose. La stessa multinazionale che, negli ultimi anni, ha colorato d’arcobaleno i suoi parchi e le sue parate, incluso nuovi personaggi LGBTQ+, e dedicato infiniti gadget e topolini al mese del Pride. Proprio in questi giorni, l’Orlando Sentinel ha sbirciato tra i conti e le fatture di Cenerentola, facendo una scoperta: la carrozza è in realtà una zucca e il Principe è repubblicano. La compagnia ha infatti deciso di finanziare ogni singolo politico sponsor e co-sponsor della House Bill 1557, dai più chiamata col nome più onesto di Don’t Say Gay Bill.

Approvata fresca fresca dalla Florida House of Representatives, la nuova legge prevede che gli insegnamenti scolastici offerti dal personale qualificato o da terze parti riguardo all’orientamento sessuale o all’identità di genere non devono essere proposti dall’asilo fino alla terza elementare, né presentati in modo non appropriato all’età o allo sviluppo degli alunni. Alla prima lettura di questa disposizione sono rimasta perplessa. Non avevo capito né gli standard a cui si facesse riferimento, né la delimitazione di cosa fosse appropriato e cosa no. All’inizio, credevo fosse dovuta alla mia innata capacità di essere impermeabile a ogni nozione di giurisprudenza. In realtà, la confusione è internazionale.

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Gran parte dei giuristi americani concorda sul fatto che la legge sia un disastro linguistico e legale. Essendo così vaga, nebulosa e indeterminata, la House Bill 1557 lascia troppa discrezione nella sua interpretazione, diventando facile preda di letture catto-fasciste. Al grido di nessuno pensa ai bambini!, interi capitoli di storia e letteratura potranno essere cancellati dai piani scolastici, così come figure centrali come Marsha P. Johnson, Harvey Milk e Bayard Rustin. Anche in forma semplificata, cominciare a sdoganare questi temi può far sentire i più piccoli fieri, amati, accolti. Soprattutto se, nelle loro case, la realtà è ben differente. Il bullismo contro chi è diverso non aspetta gli standard ministeriali, né la depressione, che getta i suoi semi in momenti traumatici dell’infanzia.

Facciamo una semplice equazione. Negli USA, il 42% dei giovani LGBTQ+ ha considerato il suicidio l’anno scorso. Secondo delle indagini nazionali, i giovani LGBTQ+ che hanno partecipato a dibattiti sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere a scuola sono del 23% meno propensi a tentare il suicidio. Ora, mi sento in uno di quegli esercizi delle elementari con Pierino e le mele, solo che la scuola americana ha deciso di passare con una mietitrebbia su tutte le mele. Il messaggio chiaro che è stato mandato a questi bimbi è che c’è qualcosa di sbagliato, di inappropriato e osceno in loro, che non può essere discusso di fronte alla classe. Il solo proporre un vaglio censorio sull’opportunità di ciò che riguarda l’orientamento sessuale o il genere dimostra che vengono considerate troppo pericolose per dei bambini, tanto da essere evitate o trattate coi guanti.

Però, se tutto è etero o cisgender, il problema sparisce. Lasciamo guardare ai nostri figli storie di principesse quindicenni che sposano sconosciuti e appena vediamo due bimbi – maschietto e femminuccia – mano nella mano, subito li chiamiamo fidanzatini. L’attrazione eterosessuale non è vista come un pericolo, mentre tutto cambia e si incrina quando dobbiamo spiegare che ci sono due principi senza una principessa. L’identità di genere binaria viene imposta in fasce, col fiocco rosa o fiocco blu. Allora ammettiamolo che non c’è alcun problema col concetto di genere, ma solo con l’idea di un fiocco di un colore diverso. In altri tre stati sono state approvate le leggi note ai più come No Promo No Homo, che permetteranno ai genitori ansiosi e preoccupati di tirar fuori i loro pargoletti da qualsiasi lezione o corso che menzioni l’identità di genere o l’orientamento sessuale.

La House Bill 1557 è stata proposta dal senatore repubblicano Dennis Baxley, famoso per le sue battaglie legali contro l’adozione da parte delle coppie LGBTQ+. In una delle sue più note dichiarazioni, il senatore paragonò i bambini adottati da coppie queer a quelli cresciuti da genitori alcolisti o abusivi. Logico, quindi, che il passo successivo fosse proteggere ogni singolo bambino dall’influenza malefica di questi degenerati. L’amore tra la Walt Disney Company e il senatore Baxley è vecchio: i primi due assegni risalgono proprio al periodo anti-adozioni, ma il ritorno di fiamma si è manifestato con una grossa somma donata quest’anno. La compagnia ha ben 77mila dipendenti impiegati in attrazioni in Florida, ed è stata sicuramente una buona mossa ingraziarsi i politici più influenti dello stato. Potrebbero risparmiarci però la sviolinata sull’inclusione tra le cinque chiavi Disney, simbolo dei loro valori aziendali.

Insomma, con un po’ di rainbow-washing l’omofobia va giù. I clienti LGBTQ+ continueranno a riempire i forzieri di Mickey comprando pupazzetti di Elsa lesbica, mentre la compagnia fa i suoi interessi coi repubblicani. Nulla di nuovo, da tempo le grosse multinazionali hanno capito il giochetto, vendendo inutili gadget arcobaleno svuotati di ogni significato o azione politica. Ma da parte della Walt Disney Pictures fa male di più perché, nonostante oggi la vediamo come un grosso monopolio mediatico, da bambini ci ha portati così tante volte in un mondo sicuro e ideale. Volevamo volare tra i palazzi di Agrabah, salvare la Cina, ritrovarci nell’Isola-che-non-c’è, ma oggi ci accorgiamo che quei luoghi meravigliosi non hanno mai avuto spazio per noi, e non lo avranno mai.

La comunità LGBTQ+ è stata per anni estromessa dall’intrattenimento per bambini. Ora, è stata estromessa dalle scuole primarie. È chiara l’antifona: i teneri occhietti innocenti dei nostri cuccioletti non sono pronti per vedere lo sporco e l’oscenità di una comunità deviata. E proprio ora che qualche piccolo passo in avanti era stato fatto, che qualche personaggio minore era lì a ballare sullo sfondo con un partner dello stesso sesso, ci viene ancora una volta ricordato che il mondo delle fiabe non esiste, esiste solo il profitto. La Fata Turchina ci lascerà per sempre burattini, e il gatto e la volpe arriveranno a impiccarci pur di avere i nostri zecchini d’oro. Non dobbiamo lasciarci sedurre da nessuna compagnia, neanche la più stucchevole: non siamo parte del loro mondo.

Ma non basta combattere una corporazione alla volta, serve cambiare l’intero sistema. Ribellandosi e rimanendo coerenti, facendo del proprio meglio per immaginare un nuovo meccanismo. Nel frattempo, però, dobbiamo guardare ai più piccoli e fragili, che potrebbero restare schiacciati tra gli ingranaggi arrugginiti del capitalismo. È quello che stanno facendo i giovani attivisti LGBTQ+, consci del fatto che, a prescindere dalla House Bill, le scuole continueranno a essere piene di bambini gay o trans. E che ora, più che mai, hanno bisogno di qualcuno che mostri loro che non sono soli. Che l’essenza queer è meravigliosamente scandalosa e, quando viene accettata da brand e istituzioni, vuol dire che è annacquata.

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