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Viareggio, la borsa e la vita. Sì, quella del rapinatore

Giusy Santella di Giusy Santella
16 Settembre 2024
in Margini
Tempo di lettura: 3 minuti
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Quanto accaduto a Viareggio qualche giorno fa è noto a tutti. Il video della donna che per quattro volte investe l’uomo che poco prima le ha rubato la borsa, uccidendolo, ha fatto il giro del web e dei giornali. E i commenti sono stati quelli che tutti immaginavamo. Commenti carichi di odio difendono il comportamento della donna, invocando vendette private per chiunque sia vittima di un reato. L’oramai scontatissimo Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini ha pubblicato un post sul suo profilo Facebook chiedendo ai suoi follower cosa ne pensassero e suggerendo che se l’uomo non fosse stato un delinquente, non sarebbe finita così.

Intanto, pensare che un omicidio sia qualcosa su cui chiedere un parere, come se ci fossero giustificazioni o come se la giustizia si facesse in piazza – decidendo chi portare al rogo – è ben lontano dall’idea di Stato di diritto che siamo, o che almeno dovremmo essere. Eppure, nulla di cui stupirsi, ma io partirei dal passato per comprendere a pieno l’assurdità di ciò che ci succede intorno.

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Mi è tornato in mente che qualche giorno fa Alessandro Baricco, in un suo spettacolo, ripercorreva lo scontro tra Atene e Melo durante la guerra del Peloponneso. La piccola cittadina di Melo aveva osato mettere in dubbio l’autorità di Atene e chiedere di rimanere neutrale nel conflitto in corso tra Atene e Sparta. Così la culla della civiltà e della democrazia tramite i suoi ambasciatori aveva ricordato che ha senso parlare di giustizia solo se tra le parti i rapporti di forza siano tali che nessuno può prevalere sull’altro. In altre parole, se le armi non sono pari, la legge applicabile è quella del più forte.

Se oggi ci guardiamo intorno, accade esattamente lo stesso. La legge oramai più applicata è quella dell’oppressore. E così succede di perdere di vista i passi fatti in avanti, convincendosi che l’unico modo per farsi giustizia sia essere più forte. Eppure, da allora potremmo dirci che diversi risultati sono stati ottenuti, che la partecipazione democratica riguarda tutti – o quasi –, che numerose conquiste di civiltà sono state raggiunte e che, seppur con le sue storture, la legge è applicabile a tutti, più o meno nello stesso modo. Ciononostante, se la società tutta si sente di giustificare anche in minima misura simili gesti, le conquiste di civiltà di cui parliamo sono tutte fallite.

La famosa legge del taglione, occhio per occhio, dente per dente, dovrebbe essere superata, sì, ma soprattutto dovremmo ricordarci che anch’essa manteneva un limite di proporzionalità ed era strumento per arginare eventuali eccessi nella vendetta. Al di là delle insuperabili differenze tra classi – per cui le offese subite dai nobili non avevano lo stesso peso di quelle sopportate dalla gente comune – la legge del taglione poneva precise limitazioni nel ripagare il torto subito: a occhio corrisponde occhio; a dente, dente. Come siamo arrivati invece a considerare una vita al pari di una borsa?

Un simile sovvertimento di valori è stato sicuramente agevolato dai messaggi istituzionali e dei rappresentanti politici di questi anni, che hanno fatto dell’odio il proprio cavallo di battaglia, soprattutto quando si tratta di categorie come quelle dei migranti, proprio come accaduto in questo caso. La società capitalistica in cui viviamo ci spinge ad attribuire sempre più valore a oggetti materiali e ricchezze, senza i quali ci sentiamo perduti e la cui sottrazione da parte di altri è capace di scatenare i peggiori istinti umani, portando a gesti irreparabili.

Non solo le ricchezze hanno un incommensurabile valore, ma le persone che le possiedono finiscono per averne anch’esse di più rispetto ad altre. E così ci sono vite sacrificabili, vite per cui non vale neppure la pena dispiacersi né invocare giustizia. Non mettiamo in dubbio che il furto, anche di un piccolo oggetto, rappresenti per ciascuno di noi una violazione della nostra persona, per cui possiamo sentirci affranti, rabbiosi, agguerriti. Eppure, mai dovrebbe sfiorarci l’idea di uccidere un altro uomo al solo fine di recuperare un oggetto. Né il pericolo e la paura possono essere invocati in alcun modo nel caso di specie, considerato che l’omicidio non è stato commesso nell’immediatezza del furto né per difendersi.

Ricordiamo bene le campagne di questi anni legate alla legittima difesa, nel tentativo di ampliarne il raggio di azione, e all’uso delle armi. Chissà cosa sarebbe successo a parti inverse. Ciò che è certo è che tutti usciamo sconfitti da una simile storia. Da una sfiducia tale nelle istituzioni che spinge a pensare che la soluzione più veloce ed efficace sia uccidere. Nessuna pena potrà mai ripagare una vita, questo è certo.

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