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“Il racconto dell’Ancella” e il potere delle parole

Marina Finaldi di Marina Finaldi
22 Dicembre 2019
in Billy
Tempo di lettura: 4 minuti
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Se la letteratura ha uno scopo oltre il piacere è quello di mostrarci, attraverso il racconto di qualcosa che ci sembra distante, il nostro vero volto allo specchio. Il viso che ricambia il nostro sguardo, oggi, è quello di Offred. La pelle quasi grigia è una tela segnata dal pianto, la bocca è pallida. Gli occhi conservano una vecchia scintilla. I capelli sono completamente nascosti da una cuffia immacolata, porta un vestito color del sangue.

Attraverso le sue parole vive la Repubblica di Gilead, una teocrazia totalitaria che ha soppiantato gli Stati Uniti D’America con una serie di attentati terroristici. A Gilead regna la paura. Per le strade, ristagna l’odore della morte. L’aria è inquinata, radioattiva. La terra non dà più frutti, l’umanità è agonizzante. Non ci sono quasi più nascite. Così, in una sorta di “Mondo Nuovo” a rovescio, il regime impone alle donne ancora fertili di offrirsi come genitrici.

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Strappata alla sua famiglia mentre tentava di fuggire lontano, Offred viene trascinata in un Centro Rosso, dove una lunga serie di torture fisiche e psicologiche riscrive completamente la sua storia. Qui perde il diritto a poter disporre del suo corpo, della sua identità, del suo nome. Diventa Of-Fred, di Fred, il Comandante cui viene assegnata, l’uomo al quale deve garantire una successione.

Margaret Atwood scrisse Il racconto dell’Ancella nel 1985. L’opera pone un’importante questione sull’impatto che la pretesa di maternità ha sul sesso femminile. Offred, ad esempio, in quanto donna fertile, viene spogliata di ogni individualità, privata del suo status di essere umano, identificata esclusivamente attraverso le funzioni del suo utero. Anche le altre protagoniste, però, non hanno vita più facile. Le donne povere e non sposate, le donne anziane e sterili, le donne omosessuali vengono bollate come Unwomen e condannate a raccogliere rifiuti tossici nelle Colonie. Riporto qui il termine originale (Unwomen) e non la versione italiana (Nondonne) poiché sono dell’avviso che nella traduzione si perda qualcosa di importante: una Nondonna, in qualche modo, rivendica ancora una parte del suo passato di donna “completa”; il prefisso non indica una trasformazione, non cancella ciò che è stato. Una Unwoman, d’altro canto, si vede negare ogni definizione: quell’un- sembra suggerire un incompiutezza che è lì da sempre, come un prodotto difettoso in una catena di montaggio, inferiore, da scartare.

Le donne ricche e sposate, invece, indossano un’uniforme blu e sono chiamate, semplicemente, Mogli. Il racconto ci mostra il dramma personale di Serena Joy, la Moglie del Comandante di Offred, per la quale non essere in grado di concepire rappresenta una colpa. Nonostante la condizione privilegiata, Serena Joy è a suo modo una Unwoman: dimenticata ai margini delle mura domestiche, assalita dalla solitudine, schiacciata dal desiderio di avere un figlio e dalle conseguenze che questa sua aspirazione comporta.

Una volta al mese, durante i giorni fertili di Offred, si consuma La Cerimonia nel corso della quale le ancelle si stendono supine sul grembo delle Mogli, che le tengono ferme per i polsi, con le gambe divaricate. Non c’è amore e neppure erotismo in questo rituale. A ogni colpo di reni del Comandante, Offred e Serena Joy, unite solo nella disperazione, assistono al reciproco annullamento.

Cerimonia, questa parola ammantata di sacralità religiosa, è solamente il travestimento di un altro termine: stupro. Il linguaggio della Repubblica di Gilead è tempestato dai tentativi di edulcorare e minimizzare ciò che avviene sotto l’occhio vigile del regime. Così, le aguzzine cui spetta la rieducazione delle ancelle sono denominate Zie, le brutali forze di polizia sono premurosi Custodi e gli agenti speciali portano il nome degli Angeli.

L’utilizzo dei vocaboli è sempre di cruciale importanza per i regimi totalitari. È attraverso le parole, infatti, che il mondo viene costruito, interpretato e celato. Sono queste, in fila come in una partita a Scarabeo, che inventano le storie e la Storia. Coloro che ne hanno il potere, lo esercitano anche sugli uomini. Ecco perché gli unici che possono farne uso, a Gilead, sono i Comandanti. Leggere e scrivere è proibito. La scrittura è, dunque, un atto di ribellione. Non è un caso che le uniche testimonianze di messaggi scritti nel racconto siano brevi slogan volti a ridicolizzare il regime ( Zia Lydia fa schifo) o a esprimere solidarietà (Nolite te bastardes carborundorum – Che i bastardi non ti schiaccino).

Se la scrittura e le storie sono l’arma del potere, però, quale valore ha il racconto di Offred? Ci si può fidare di lei come narratore? Il lettore è cieco: deve affidarsi completamente al punto di vista dell’ancella, per poter proseguire. Non ci sono altre voci, altre fonti che raccontano di Gilead e dei suoi orrori. Così, ironicamente, è attraverso un’ancella privata della sua storia e del suo nome che Gilead può diventare reale. E proprio perché Offred non ha identità, il racconto diventa corale: la Storia di tutte le ancelle vestite di rosso che si leva in alto, in un’unica voce. Il loro narrare supera il Muro del silenzio imposto dal regime, ne spezza l’autorità. E, attraverso esso, la protagonista rinasce, si riappropria di sé e della sua Storia.

Il volto di Offred che ricambia il nostro sguardo allo specchio è il volto delle migliaia di donne che, ancora oggi, vengono costrette al silenzio, eppure, con un filo di voce, mormorano: «Non lasciare che i bastardi ti schiaccino.»

Prec.

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