Renderemo le voci ebraiche e israeliane particolarmente visibili alla Fiera del Libro di Francoforte. Oltre agli eventi già programmati, creeremo ulteriori momenti scenici per queste voci. Il #fbm23 sta con Israele in piena solidarietà.
Che l’editoria sia un’estensione della voce della politica, e per la sua capacità di stimolare il pensiero critico delle masse ne diventi inevitabilmente preda, è chiaro da tempo. Che questa non riesca più nella sua funzione di garantire alle voci discordi di superare il pensiero dominante, che addirittura si adoperi nella censura di artisti colpevoli di appartenere a quelli che – secondo un giudizio supremo – si configurano come i cattivi, è un’assurdità che speravamo di aver già visto e accantonato con la cancel culture messa in campo dall’Europa e dal mondo verso scrittori e musicisti russi. Invece, rieccoci.
La voce della Palestina non esiste, non deve esistere: il messaggio è chiarissimo. In questi giorni in cui il conflitto israelo-palestinese tiene col fiato sospeso le sorti del mondo, basta fare un giro tra i principali giornali occidentali per rendersi conto di come la narrazione si muova solo in un senso, di come l’attacco deprecabile di Hamas del 7 ottobre scorso sia bastato a cancellare settant’anni di barbarie compiute da Tel Aviv verso Gaza, soprattutto, di come nessun’altra voce che non sia quella filo-statunitense abbia diritto di levarsi.
Diversi giornalisti e attivisti originari dello Stato arabo hanno già denunciato la censura che i social network stanno adoperando nei riguardi di qualsiasi contenuto parli di Palestina. Il fatto, però, che a ricorrere a tale limitazione alla libertà di espressione e accesso alle informazioni (dichiarando liberamente che qualsiasi spazio sarà offerto alle voci israeliane) sia la principale fiera del libro d’Europa rende la misura dell’imposizione del pensiero che l’Occidente adopera verso qualunque questione riguardante l’equilibrio mondiale.
È notizia dello scorso weekend che la Fiera del Libro di Francoforte ha deciso di cancellare uno degli eventi più prestigiosi previsti dal calendario della manifestazione, la consegna del premio LiBeraturpreis – concesso ad autori provenienti da Asia, Africa e mondo arabo – alla scrittrice palestinese Adania Shibli, autrice di Un dettaglio minore, tradotto in Italia da La nave di Teseo.
Una decisione, quella di Francoforte, che sovverte il ruolo della cultura, del pensiero libero che il libro dovrebbe proteggere e garantire, un’imposizione politica voluta da Juergen Boos, direttore della fiera tedesca, che ha motivato l’assurda scelta con la guerra in Israele, aggiungendo l’intenzione di rendere – al contrario – le voci ebraiche particolarmente visibili.
Quel che è particolarmente visibile, intanto, è la follia omicida che lo Stato ebraico sta rivelando verso i civili di Gaza, impossibilitati a scappare, con un bilancio di vittime, in particolar modo tra i bambini, che ha già superato l’intero numero prodotto dalla guerra tra Russia e Ucraina che va avanti, però, da oltre venti mesi.
Il romanzo di Adania Shibli racconta la vera storia di una beduina stuprata e uccisa dai soldati israeliani nel 1949 e già la scorsa estate era stato accusato di descrivere Israele come una macchina assassina. L’epilogo che è coinciso con la sua censura sembra solo questione del tempo necessario a imporre la legge di Washington.
Shibli ha dedicato dodici anni alla creazione di una storia che si sviluppa in due tempi uniti dal dolore: il primo, un anno dopo l’invasione del 1948, quando i militari israeliani a presidiare il confine con l’Egitto stuprano una giovane beduina, poi sepolta nella sabbia; il secondo, con una donna palestinese che indaga sul crimine per restituire dignità alla vittima. Nel corso del viaggio esplora l’attuale condizione di vita nei territori arabi. Il romanzo, dunque, mira a superare il concetto di confine, dare voce a chi non ne ha mai avuta.
Intanto, sono numerosissime le risoluzioni dell’ONU contro Israele – lo Stato che ne subisce di più in violazione dei diritti umani – continuamente ignorate con il benestare della Casa Bianca e persino della UE, quantomeno ipocrita nell’armare Kiev per il diritto alla difesa e ignorare, poi, la causa palestinese adoperando lo specchietto per le allodole che è la violenza di Hamas. Mi oppongo a qualsiasi forma di male inflitta agli altri compresi i metodi violenti adottati da loro, aveva sostenuto la scrittrice in una recente intervista. Non è bastato.
Eppure, la motivazione che aveva portato la Fiera di Francoforte a scegliere Adania Shibli e il suo Un dettaglio minore era stata che crea un’opera d’arte composta formalmente e linguisticamente in modo rigoroso che racconta il potere dei confini e ciò che i conflitti violenti causano alle e con le persone. Con grande attenzione, dirige lo sguardo verso i piccoli dettagli, le banalità che ci permettono di intravedere le vecchie ferite e cicatrici che si trovano dietro la superficie.
Un racconto puntuale di ciò che è la guerra tra Israele e Palestina, una motivazione cancellata senza colpo ferire e che ha prodotto l’effetto di una rinuncia di massa da parte di decine di editori di origine araba a presenziare alla manifestazione libraria di Francoforte. Solo a seguito delle proteste, l’agenzia Litprom – responsabile del premio – ha fatto sapere che provvederà alla consegna quando riusciranno a trovare un format e un’impostazione adatti per l’evento, vale a dire non alla fiera, lontano dai riflettori e, soprattutto, offrendo a una voce israeliana di condividere il palco con Shibli per distogliere l’attenzione dal tema e proporre un dibattito politico che verrà indirizzato alla generale colpevolizzazione delle violenze, attenti a far pendere la bilancia a danno della Palestina per le colpe di Hamas.
E mentre i giornali tedeschi facevano a gara a definire il testo della Shibli come antisemita – anche quelli storicamente schierati a sinistra –, il silenzio delle associazioni di categoria di tutta Europa che parteciperanno alla buchmesse si fa assordante, in un contesto di complicità e omertà al fine di non minare al grande giro d’affari che Francoforte garantisce a tante aziende del panorama editoriale continentale.
Così, anche se consapevoli di una eco non adatta a sostenerne l’istanza, proviamo noi di Mar dei Sargassi – che condividiamo il lavoro in editoria – a fare domande: ha ancora senso pubblicare libri? Qual è lo scopo del raccontare storie se non incidere sul pensiero critico? In che modo la censura di una scrittrice per le sue origini, ritenute colpevoli di un conflitto, può incidere sull’esito delle barbarie?
Allo stesso modo, invitiamo colleghi, associazioni, circoli letterari, sponsor, a finanziare ovunque un tour della scrittrice, a partire dal nostro Paese che – anche se nessun giornale ha voluto mostrarlo – nel corso dello scorso weekend ha riempito le piazze di tutta Italia, con manifestazioni a supporto del popolo palestinese. Perché possono oscurarci, ma la voce dei confini viaggia con noi e non vuole spegnersi.