C’è bisogno di una buona dose di coraggio umano e di follia artistica per riproporre una nuova rivisitazione filmica del Canto di Natale di Charles Dickens. E lo sceneggiatore e regista Brando Improta possiede le virtù ideative, narrative e morali per affrontare l’impresa. Ci regala, così, una personale versione cinematografica di un classico della letteratura, ambientato ai nostri giorni, che è già disponibile sulla piattaforma online Shinema e anche su Amazon.
Il Canto di Natale dickensiano (A Christmas Carol) è il romanzo breve di genere fantastico del 1843 che ci narra la storia di Ebenezer Scrooge, un avaro uomo d’affari londinese che trascorre la quotidianità in conflitto con gli altri esseri umani e, di conseguenza, con la vita. Unendo egoismo e asocialità, quindi, si rifiuta di celebrare il Natale perché lo ritiene un giorno inutile, che fa perdere tempo e denaro. Il racconto è una parabola morale che contiene, come sempre negli scritti di Dickens, una dura critica contro la spietata società industriale nascente. La conversione di Scrooge, alla fine, indica la strada per il possibile recupero, individuale e collettivo, dei valori basici dell’umana solidarietà e va ben al di là della narrazione letteraria intorno allo spirito della festa natalizia.
La trama de Il Canto di Natale scritto, diretto e interpretato da Brando Improta, invece, ci racconta di Gioele, un giovane e insofferente professionista dei nostri tempi, costretto a lavorare anche nel periodo festivo dal suo datore di lavoro, nonché padre della fidanzata Lucrezia, per non perdere il posto e le possibilità di carriera. Il nostro Gioele/Scrooge non è poi così cattivo, ma insofferente, e il Natale gli è più che altro d’impaccio, visto come una perdita di tempo nella frenetica corsa alla performance lavorativa, economica ed esistenziale che lo impegna per tutto il tempo e a cui sacrifica i rapporti affettivi. Questi ultimi, anzi, sembrano far parte della stessa attività quotidiana formale, non scelta ma subita, tanto che il giovane protagonista non si accorge dell’amore di Bianca – interpretata dalla brava Adele Vitale –, la segretaria che cerca, invano, di richiamarlo all’umanità e al calore delle relazioni sociali che Gioele sembra rifuggire come si fa con un’attività inutile, uno spreco, se non addirittura un danno.
Cercando di fuggire dal fastidio e dal caos del periodo natalizio in città, Gioele trova rifugio in una pensione di una località non lontana ma più tranquilla. Qui viene raggiunto, in seguito a un malinteso, proprio da Bianca e sarà coinvolto, suo malgrado e dall’esuberanza di una comitiva di amici del paese, nella partecipazione a una corsa: la gara dei Babbi Natale. Il protagonista si arrabbierà e rifiuterà ogni affettuosa cura di Bianca perché non è così che gira il mondo, grida, nel tentativo di confermare a se stesso e a gli altri le ragioni dello stile di vita che pratica da sempre. Poi, un giorno, stanco e deluso, si ritroverà in una chiesa.
Il regista napoletano tratta con mano leggera, ma non banale, la storia di questa versione filmica del capolavoro di Dickens, ambientata nel tempo e nei luoghi della società contemporanea, drogata dal culto del lavoro, non più inteso come mezzo per vivere, ma come fine a cui immolare ogni altro accadimento personale o relazione affettiva. Lo spirito del Natale, in fondo, al di là di ogni personale visione del mondo, sta tutto in questo recupero della centralità della dimensione affettiva dell’esistenza, sembra suggerire l’autore allo spettatore.
Un messaggio del genere è tanto più sentito e necessario al tempo della crisi pandemica, come Improta ci ha mostrato ne L’amore ai tempi del COVID, una commedia sentimentale scritta e realizzata durante la prima fase del lockdown che ci ha tenuti tutti in casa. Il regista napoletano, già collaboratore di Carlo Verdone e Alessandro Siani e autore di prove cinematografiche come Le piccole cose e, in precedenza, della serie web La vita come viene, ci ha abituati, da tempo, alle storie incentrate sul sentimento di inadeguatezza vissuto dai giovani della sua generazione, alla ricerca di una qualità e di un’intensità esistenziale che va quasi sempre incontro alle delusioni della vita così come deve essere: anonima, frenetica e funzionale ai meccanismi dell’efficienza societaria più che ai desideri e ai bisogni più profondi degli esseri umani.