Il saggio Ecity. Antropologia della tecnica (Rubbettino, 2018) di Antonio Martone è uno dei libri più belli e utili tra quelli letti nell’anno appena trascorso. L’autore insegna Filosofia politica all’Università di Salerno e il tema del viaggio che propone ai suoi lettori è chiaro fin dall’introduzione, quando ci parla della città contemporanea, la ecity immersa nella tecno-scienza e retta dalla sovranità delle organizzazioni finanziarie internazionali, che occupa l’intero spazio terrestre e abolisce, di fatto, lo stesso concetto di luogo a cui siamo abituati a pensare. La ecity si distacca in maniera radicale dalle radici (culture, tradizioni, territori) e cancella le coordinate spazio-temporali della società tradizionale.
La meta del viaggio che ci propone Martone, in effetti, è la comprensione del mondo contemporaneo e del rapporto tra la città elettronica e le istituzioni politiche nazionali e internazionali che operano nel mondo ipertecnologizzato della globalizzazione. L’analisi parte dalle premesse storiche e antropologiche della modernità, dove non vi è alcun limite possibile alla potenza/libertà degli uomini e, come ci ha anticipato il grande pensatore francese Alexis de Tocqueville, i legami sociali si sciolgono cedendo il passo all’individualismo. Al governo della cosa pubblica, inoltre, le élite irresponsabili che governano i destini dei singoli e delle comunità fanno sì che la democrazia cresca come bambini abbandonati per strada. È questa un’immagine quanto mai attuale: nella città elettronica globalizzata, milioni di individui vivono immersi nell’orgia collettiva di una società di massa in cui ciascuno è insofferente ai condizionamenti altrui ma appare assolutamente bisognoso di protezione, di quella sicurezza abbandonata dal superamento della città/società tradizionale.
Le facoltà umane come la memoria e la dimensione progettuale, quindi, ci suggerisce Martone nella sua articolata narrazione, sono andate perdute nell’orizzonte antropologico attuale, assieme al crollo della speranza e dell’idea del progresso. La coscienza dell’uomo contemporaneo oscilla fra l’angoscia e l’indifferenza cinica, nella nichilistica presenza dell’umano nella vita quotidiana, dominata dalla potenza della tecnologia il cui unico fine è la sua riproduzione al di là dei bisogni delle persone. L’ecity è forse l’istantanea emblematica, terribile e malinconica del tramonto della civiltà occidentale, nel passaggio storico dove si compie al massimo grado quel cambiamento esistenziale – da molti visto, agli inizi della modernità, come un valore ma che oggi va ripensato nei suoi effetti disumanizzanti – sintetizzato dall’aforisma di Herbert Marcuse, posto in esergo nelle prime pagine del libro: la razionalità tecnologica è divenuta razionalità politica. Eppure, a commento di una riflessione di Heidegger sull’abitare la Terra, il filosofo della politica ci ricorda che l’attimo è fatto per gli uomini. Gli uomini non sono fatti per l’attimo!
Alla fine del viaggio, l’autore si chiede dove e quali siano le risorse umane da recuperare e gli spazi pubblici da organizzare affinché sia possibile un futuro per la convivenza democratica anche nella città elettronica globalizzata. C’è bisogno di ripensare fortemente il modello dell’uomo, il rapporto fra gli uomini e la relazione fra questi e la natura nel suo complesso, evitando sia la tecnofilia sia la tecnofobia, alla ricerca di nuove pratiche personali e collettive di libertà. A tal fine, fondamentale sarà l’apporto della creatività umana che si esprime attraverso l’arte, la letteratura e l’acquisizione di una consapevolezza critica dell’intimo e ineludibile rapporto tra gli esseri umani e il più vasto ambiente naturale del quale anche la città elettronica fa parte.
Un libro prezioso l’Ecity del filosofo, artista e poeta Martone, dicevamo, perché informa e forma la nostra comprensione di ciò che accade, grazie a un ragionato studio critico di autori che hanno riflettuto a lungo e in profondità sul passaggio dalla modernità alla contemporaneità, ma rifugge da qualsiasi tono profetico o, peggio, declamatorio intorno alle meraviglie della città globale, che spesso troviamo nella saggistica-confezione che fa parte anch’essa del consumismo culturale, senza riflessioni critiche sul nostro essere al mondo attuale e futuro nella città globale.