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Ddl Zan rimandato: il fallimento della democrazia

Chiara Barbati di Chiara Barbati
27 Luglio 2021
in Attualità
Tempo di lettura: 5 minuti
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Anche questa volta, la democrazia ha perso, i diritti hanno perso, la giustizia ha perso. È vero, il Ddl Zan non è stato bocciato, ma anche rimandarlo a settembre è una sconfitta. Anche rimandarlo di un giorno lo sarebbe stato, anzi, era già una sconfitta che da novembre si fosse trovato il tempo di valutarlo in Senato solo a luglio. È una sconfitta perché la salvaguardia dei diritti altrui, in Italia, non è mai una priorità e l’iter di questo disegno di legge lo sta dimostrando ogni giorno di più.

È ormai chiaro che il Ddl Zan non diverrà legge molto presto e quella che doveva essere un’accesa e rapida discussione di un paio di giorni è diventata una deriva di dichiarazioni folli, insensate, offensive e talvolta crudeli che non hanno portato a nulla se non alla conferma – se mai ce ne fosse stato bisogno – che alla nostra classe politica dei diritti non importa nulla. La seduta che doveva concludersi con una votazione che finalmente riconoscesse il diritto a non essere discriminate anche alle categorie finora ignorate dall’ordinamento italiano è diventata un teatrino di spiritosi performer pronti a tutto per screditare il disegno e di irritabili e volubili politici troppo bravi a cambiare velocemente idea.

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La discussione, protratta così a lungo da lasciar crollare ogni interesse nel dimenticatoio, non era su una questione politica, non era su un concetto opinabile o su una strategia che potesse essere considerata più o meno efficiente. Ciò che il Ddl Zan ha messo sul tavolo è una questione di diritti che dovrebbero, teoricamente, essere apartitici, che non hanno a che fare con la destra o la sinistra né con le opinioni che ogni individuo può avere. Il disegno di legge non poteva avere nulla di controverso e l’unico motivo per cui si è rivelato divisivo riguarda quei giochi di forza che a quanto pare hanno più peso e importanza della vita degli altri.

La politica italiana, i partiti che dovrebbero rappresentarci hanno dunque dato il peggio di sé. Non c’era dubbio che le nostre destre, fatte di gruppi che si servono delle paure del popolo per ottenere consensi anche a costo di contraddirsi da soli, dichiarassero guerra a una legge pensata per il rispetto dei diritti umani, per la tutela dei deboli perché, d’altronde, è esattamente questa la prerogativa della destra… o forse no, forse mi confondo con la dittatura di estrema destra, scusate, errore mio. Ma se che questa si sarebbe opposta con le unghie e con i denti alla salvaguardia dei diritti di coloro che non la votano era scontato, il comportamento di quella che si autodefinisce sinistra non ha deluso di meno.

Le voci secondo cui all’interno del PD, il partito che ha proposto il Ddl Zan, ci fosse qualche gruppetto di senatori poco convinti della reale utilità della legge sono girate parecchio negli ultimi mesi, tanto da richiedere più volte che il voto fosse segreto, giusto per dare la possibilità a qualcuno di agire secondo la propria vera natura senza svelarla. A vincere la coppa dell’incoerenza, però, è Italia Viva, divisa a metà tra ciò che ci si aspettava che facesse e ciò che avrebbe voluto fare.

Il leader del partito che faceva parte dei numeri perché la legge passasse ha infatti improvvisamente iniziato a insinuare che quei numeri in realtà mancassero e che bisognasse trovare un accordo con la destra, accordo che avrebbe snaturato il Ddl, rendendolo meno inclusivo ed eliminando la possibilità di riconoscere la propria identità di genere. Se fosse una seria preoccupazione dovuta al timore che il PD potesse nascondere numerose incoerenze, se fosse un semplice problema di Renzi con la matematica o se fosse un modo astuto per concordare con il punto di vista delle opposizioni senza dichiarare di sposarne le ideologie, non ci è dato saperlo.

Fatto sta che la discussione ha presto chiarito che l’appoggio alla proposta Zan che si credeva di avere non lo si aveva davvero, e si è addirittura intavolata una discussione per accettare le modifiche della destra, la stessa che si è detta favorevole al Ddl a determinate condizioni e poi ha presentato mille emendamenti, però senza alcuna intenzione di fare ostruzionismo, ci mancherebbe. Le inaccettabili modifiche che avrebbero rinnegato l’essenza della legge riguardano alcune definizioni, tra cui quella di identità di genere – perché è evidente che una norma con definizioni vaghe abbia ampi margini di interpretazione – e l’istituzione della giornata internazionale contro l’omolesbobitransfobia che avrebbe dovuto essere celebrata anche nelle scuole, perché non sia mai che la scuola insegni qualcosa sul vivere civile e sul rispetto del prossimo.

Ma al netto di tutte le insensate argomentazioni contrarie, il Ddl Zan non serve solo per tutelare dalle discriminazioni tutte quelle categorie che non sono ancora state normalizzate e accettate da una società che è più cieca che bigotta, che è più pigra e comodamente adagiata sulla normatività che contraria al progresso. Il disegno di legge serve per dare riconoscibilità a tutte quelle categorie che per molti ancora non esistono e mai dovrebbero esistere. Non a caso, si è reso chiaro che la proposta aveva più possibilità di passare eliminando la dicitura identità di genere e dunque il riconoscimento del diritto di essere.

Tuttavia, a rendere la discussione e il suo mancato esito ancora più inaccettabili è come si è deciso di discutere il disegno di legge. Le argomentazioni portate contro il Ddl Zan sono, perlopiù, illogiche e insensate, spesso basate su fatti che con la proposta non hanno niente a che fare – a dimostrazione del fatto che di argomentazioni contrarie realmente valide non ce ne siano poi così tante. Ma, visto che esse diventano stendardo delle battaglie che gli oppositori combattono con orgoglio, analizziamone qualcuna. Quando la senatrice Fregolent dice che la giornata contro l’omofobia non ha senso se non ne esiste una contro l’eterofobia, lo sa che le persone eterosessuali non sono una minoranza soggetta a discriminazione sistemica o fa solo finta? Quando Pillon dice che i calciatori dopo la vittoria agli Europei hanno chiamato la mamma e non il genitore 1, lo sa che nessun bambino chiama davvero la mamma così, oppure pensa che siano gli italiani a crederlo? Perché, se lo crede davvero, allora abbiamo una dose non indifferente di persone prive di lucidità al Senato e, in caso contrario, una buona dose di senatori che considera i cittadini, anzi i propri elettori, degli esseri privi di alcun raziocinio. E non so cosa sia peggio.

Quando si è parlato di Ddl Zan, in questi mesi, non si è parlato davvero di ideologie, non si è parlato di convinzioni retrograde e non si è parlato neanche di voler tutelare dal principio azioni potenzialmente discriminanti. Altrimenti non si spiegherebbe perché altre leggi, potenzialmente più controverse per un Paese tanto bigotto, abbiano visto la luce molto prima. Penso per esempio alla Legge Cirinnà, certo non un successo su tutta la linea dato che le unioni civili non si trovano sullo stesso piano del matrimonio, ma che ci si aspetta passi con molta più difficoltà per un Paese a cui non piace l’inclusione. Ma, forse, non è davvero questo il problema, dato che oltre il 62% degli italiani pare favorevole al Ddl Zan.

Il problema sta da un’altra parte e non ha a che fare con il riconoscimento dei diritti altrui, bensì con il limite di un diritto che manco dovrebbe esistere: quello di odiare. Dopotutto, il Ddl Zan prova a mettere un piccolo freno all’odio, prova a istituzionalizzare il concetto secondo cui discriminare è sbagliato ed è questo che non va giù alla classe politica. Che le minoranze siano libere di esistere, dunque, di sposarsi, di cambiare sesso, ma che non siano libere di non essere picchiate, detestate, maltrattate. E che il popolo resti libero di odiare pubblicamente e manifestamente, perché, si sa, è un sentimento così salutare che sarebbe una vera ingiustizia negarlo a qualcuno.

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