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Curriculum dello studente: aziendalismo a scuola

Mariaconsiglia Flavia Fedele di Mariaconsiglia Flavia Fedele
10 Giugno 2021
in Il Fatto
Tempo di lettura: 6 minuti
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La scuola non è un’azienda, eppure i maturandi che si apprestano all’esame dovranno presentare un documento che certifichi tutte le loro esperienze scolastiche ed extrascolastiche svolte nel corso degli anni di studio. Si chiama Curriculum dello studente ed è stato introdotto nel 2015 con la tanto – ma, forse, non abbastanza – discussa Buona Scuola di Matteo Renzi.

Disciplinato dal Decreto 62 del 2017 e adottato ufficialmente nel 2020 per volere dell’ex titolare del MI Lucia Azzolina, il Curriculum verrà presentato per la prima volta alla Maturità 2021 per vederlo, poi, allegato al diploma. Un documento – recita il sito del Ministero – rappresentativo dell’intero profilo dello studente, che riporta al suo interno tutte le informazioni relative al percorso scolastico, le certificazioni conseguite e le attività extrascolastiche svolte nel corso degli ultimi anni.

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Il Curriculum si divide in tre parti diverse: la prima, di competenza dell’istituto scolastico, relativa al percorso di studi; la seconda, redatta dalla scuola e dallo studente, annovera tutte le certificazioni linguistiche, informatiche o di altra natura; la terza, compilata dal maturando, invece, riguarda le attività extracurriculari professionali, sportive, musicali, culturali e di volontariato. Per i promotori, lo strumento ha un rilevante valore educativo e formativo, importante per la presentazione alla commissione e lo svolgimento dell’esame di Stato. Può costituire, inoltre, un valido supporto per l’orientamento degli studenti all’università e al mondo del lavoro. Ma è proprio così? A non essere d’accordo sono davvero tanti.

Tra i molti, in un articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano, il saggista Tomaso Montanari si è scagliato contro la novità senza mezzi termini: Il Curriculum dello studente mette tra parentesi il diploma a cui è allegato: perché al mercato non basta il valore legale del titolo di studio, e nemmeno il voto. Il mercato vuole sapere cosa sta comprando. E così il Ministero glielo dice: rendendo ben chiaro che la scuola deve servire non a formare cittadini, ma a piazzare capitale umano sul mercato del lavoro. E questo curriculum serve egregiamente a far capire che tipo di “pezzo di ricambio” è il ragazzo a cui sta attaccato – proprio come un cartellino sta su un pezzo di carne, sul bancone del supermercato. A fargli  eco, il sociologo Marco Pitzalis, che ne ha parlato come di apoteosi di una scuola borghese che non ha più vergogna di esserlo, e Mauro Boarelli che ha criticato il nuovo vocabolario che sta plasmando il sistema educativo: utilitarismo, competizione, individualizzazione, impresa, competenze. L’idea centrale è che l’apprendimento non abbia alcun senso se svincolato dal raggiungimento di un fine materiale e immediato.

I più critici parlano del documento come di una misura discriminatoria che finirà per ridefinire i ruoli all’interno delle classi e, quindi, della società, divisa tra chi può permettersi di redigere un curriculum ricco perché proveniente da un contesto favorevole e chi, invece, non ne ha possibilità perché sprovvisto degli strumenti familiari ed economici necessari. Si tratta di una delle decisioni che chiariscono meglio la natura di questo governo: un gabinetto paleoliberista di destra, ha proseguito Montanari. In quanti, infatti, possono accedere alle attività extracurriculari? Quanti possono frequentare corsi di teatro, danza, musica o che dir si voglia? Le commissioni della maturità si troveranno a interrogare e a valutare anche in base a un esplicito documento dell’abisso di diseguaglianza economica, sociale e culturale che divide e inghiotte i ragazzi della nostra scuola. […] Dalla scuola in grembiule, solennemente egualitaria, siamo passati a un’esibizione della ricchezza autorizzata, anzi sollecitata, dal superiore ministero.

A pensarla come il saggista – ma in termini meno “duri” – anche tanti studenti e insegnanti. In particolare, questi ultimi hanno scritto una lettera al Ministro Bianchi per chiedergli lo slittamento dell’attivazione della misura per motivi di natura pedagogica e, anche, relativi alla tempistica. Come sappiamo, la pandemia ha rallentato se non bloccato del tutto molte attività, il che significa che a compilare il modulo saranno solo quei pochi che avranno potuto dedicarsi ad altro oltre gli studi, ottenendo certificazioni private a pagamento. La prossima Maturità, inoltre, vedrà una commissione di soli membri interni che ben conoscono gli studenti, le loro peculiarità e passioni: perché, dunque, tanta urgenza?

Certo, la misura non è stata introdotta dal Ministro Bianchi, ma è sotto la sua guida che il Ministero, sulla piattaforma che consente l’accesso alla documentazione, propone lo strumento come utile per presentare al meglio chi sei. Un documento che racconta te stesso e la tua storia. Frasi che, forse, avrebbero meritato e tuttora meriterebbero una riflessione profonda di tipo culturale: davvero vogliamo far passare l’idea che la persona e la sua identità siano costituite dalla somma dei suoi certificati linguistici e informatici? Riteniamo sul serio che un curriculum possa costituire un “racconto” biografico? Si chiedono i docenti e noi con loro.

Crediamo che spesso si faccia confusione tra l’attenzione positiva al vissuto personale, che deve caratterizzare la sensibilità didattica di ogni docente […], con quella che rischia invece di diventare una forma narcisistica di accumulazione di titoli, che prelude al superamento del valore legale del titolo di studio, e non rende giustizia allo spirito più autentico della scuola repubblicana, che aspira – come ammoniva Guido Calogero – a neutralizzare gli effetti delle diseguaglianze economiche, e non a legittimarli, esaltarli e ratificarli. In poche parole: qual è il messaggio che stiamo mandando ai ragazzi?

Al netto di quanto afferma chi sostiene il Curriculum dello studente, infatti, il rischio che si possa finire con il mescolare il merito con le opportunità di tipo economico – che, spesso, nulla hanno a che vedere con ciò che la scuola fa e deve fare – è estremamente alto. Nell’ottica di formazione delle nuove coscienze, dunque, il discorso si presenta ben più complesso di quanto ritiene Damiano Previtali, dirigente del MIUR, che si appella alla valorizzazione delle competenze che gli studenti acquisiscono al di là dei banchi per diminuire la dispersione scolastica.

Che la scuola vada ripensata, per certi versi persino svecchiata, è un dato di fatto. Ma basta un curriculum quale incentivo? Basta a introdurre – concretamente – i giovani al mondo del lavoro? Se in Italia l’accesso all’istruzione è libero, perché dovremmo attribuire un tale valore a corsi e certificazioni private che finirebbero con l’escludere qualcuno di meno qualificato ma di più pronto e/o idoneo a un ruolo anziché un altro? Non si tratta di attitudini o sensibilità, come ribadisce Previtali, bensì di portare alla Maturità quella scala gerarchica che già tanto – e troppo – definisce il fuori le mura, il futuro di quei ragazzi, il nostro e dell’intera società.

Eppure, la Costituzione parla chiaro: è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. E questo deve valere anche per gli studenti. Se, dunque, l’intenzione è – veramente – contrastare la dispersione, valorizzare le peculiarità del singolo e avviare i ragazzi al mondo del lavoro o all’università, l’istituzione scolastica (quindi, lo Stato) deve poter offrire pari opportunità a tutti. In alternativa, limitarsi a valutare in base alla propria offerta formativa. Altrimenti, la scuola si fa azienda, il futuro appannaggio della solita oligarchia.

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