Una delle più grandi peculiarità di una nuova legislatura sta nella possibilità di partire da zero. Può attuare cambiamenti, mettere in pratica i suoi progetti e darsi una possibilità di fare meglio. Questa volta, però, il governo non parte da zero, perché è nuovo solo per metà e, forse, anche meno. Anzitutto perché l’alleanza M5S-Lega aveva trovato dei punti d’incontro in molte delle iniziative politiche condotte, e non ci si può aspettare un totale abbandono di quelle linee comuni. E in secondo luogo perché, anche se una delle variabili in gioco è cambiata, si tratta pur sempre di una componente che ha fatto parte dell’equazione fino a un anno e mezzo fa.
La più grande differenza tra il primo e il secondo governo Conte sta certamente nel distacco dall’accanito partito di destra. La presenza leghista nei programmi politici aveva dato una netta impostazione sovranista e anti-migratoria, che aveva insistentemente attecchito sul territorio italiano. Secondo il programma, invece, il nuovo esecutivo punta a una differente gestione, in collaborazione con la comunità europea, dei flussi migratori, cavallo di battaglia dell’ex Ministro dell’Interno. Ma, sebbene la questione immigrazione fosse particolarmente cara a Salvini, l’altra metà dell’amministrazione precedente aveva comunque sottoscritto le iniziative leghiste, decreto sicurezza in primis. È forse auspicabile che, più che di sostegno, Conte e i 5 Stelle fossero colpevoli di collusione – strana situazione in cui sperare –, alle prese con un governo fatto di polarità diverse nel quale giungere a compromessi. L’obiettivo dichiarato del nuovo governo – sebbene allo stato attuale i porti siano ancora chiusi – sarebbe quello di superare la logica emergenziale e di proporre un approccio che punti a una riforma normativa in grado di combattere il traffico illegale di persone da un lato, ma che si dedichi accuratamente ai temi dell’integrazione dall’altro. Un intento apparentemente nobile ed equilibrato, nonostante l’incertezza della sua attuazione, considerata la collaborazione italiana, sotto la guida PD, con le autorità militari e di frontiera libiche per il controllo dei migranti.
Il programma continua con il sostegno a uno sviluppo economico e sociale attraverso i principi cari ai 5 Stelle, a partire da reddito di cittadinanza e salario minimo, e a farlo in modo sostenibile, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030 e la realizzazione del Green New Deal, che dovrebbe fare di protezione ambientale e biodiversità dei punti fondamentali del sistema costituzionale. E poi investimenti su scuola e università, maggiore efficienza nel sistema di giustizia, promozione del Meridione e un nuovo equilibrio socio-economico tra Nord e Sud. Purtroppo, però, i precedenti non lasciano ben sperare: tra TAV e tagli al dissesto idrogeologico, decreto Buona Scuola e autonomie riconfermate, difficile non chiedersi quali saranno, effettivamente, le differenze con il passato.
Punto nevralgico del Conte bis è la riscoperta inclinazione europeista, in contrasto con l’euroscetticismo moderato del M5S, da sempre oppositore delle politiche dell’UE. Tale identità è conferita innanzitutto dal nuovo Ministro dell’Economia, Gualtieri, che vanta due legislature all’Europarlamento. Anche il Ministro degli Affari Europei, Amendola, e il neo Commissario agli Affari Economici Gentiloni vantano un’impostazione pro Europa. Insomma, la direzione del nuovo governo tende verso l’esterno e lo stesso Presidente del Parlamento Europeo sembra aver apprezzato l’interesse a porsi in una cornice europeista. È proprio David Sassoli a parlare di una riforma al regolamento di Dublino, obiettivo presente anche nel programma di governo. Si tratta di una convenzione che stabilisce la competenza degli Stati membri dell’Unione per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata a uno dei Paesi coinvolti da un cittadino non europeo. Le riforme dovrebbero riguardare la messa a punto di un sistema di ripartizione degli accolti su tutto il territorio. Non è un mistero che la Lega non sembrasse favorevole, soprattutto poiché il partito aveva fondato il suo consenso sulla percezione di un’emergenza migranti che sarebbe drasticamente diminuita in caso di nuovi accordi.
Il primo governo Conte aveva relazioni piuttosto turbolente con l’Europa e non era un mistero la preoccupazione europarlamentare per la piega populista e sovranista che l’Italia stava prendendo. Sono proprio i messaggi positivi rivolti all’asse M5S-PD a confermare tali inquietudini e il fervente consenso per il recente mutamento politico. C’è da chiedersi, più che altro, se il consenso sia orientato a una politica comunitaria coesa ed efficiente o se provenga dalle inclinazioni elitarie che la qualificano. Il Conte bis è infatti finalmente definito un bene, che rimette l’Italia al tavolo di coloro disposti a costruire un’Europa più forte e riformata. Non sono mancati, inoltre, da parte delle forze d’oltralpe, espliciti riferimenti al disastro salviniano, con l’uscente Commissario Europeo agli Affari Economici e Finanziari Pierre Moscovici che ha etichettato l’ex Ministro dell’Interno come un populista che lotta contro la stessa idea di UE, mentre il quotidiano britannico The Times ha definito l’Italia il secondo Paese, dopo la Grecia, che respinge con decisione il populismo.
Il nuovo ottimismo rivaluta positivamente lo Stivale, ma forse punta eccessivamente sull’allontanamento di Salvini dal governo. Ma la fiducia non può fondarsi esclusivamente sul distacco con la Lega e il governo, che per ora ha solo rigettato a parole le politiche dell’ex Vicepresidente del Consiglio, dovrà dimostrare maggiore competenza e determinazione nell’affrontare i problemi di una gestione di cui il leader del Carroccio era solo una percentuale.
Al contrario, larga parte di ciò che davvero dovrebbe riguardare il programma, sono le persone. Tutte le intenzioni dichiarate nei 29 punti dell’accordo fanno riferimento a grandi progetti, di cui però non sono chiari gli effetti sui cittadini e sul fragilissimo mondo del lavoro. Le iniziative a tal proposito sono principalmente legate alla logica assistenzialistica, che aiuta chi ne ha bisogno ma che non rimette in moto la macchina. La staticità che si prevede non apporterà cambiamenti e non inciderà in modo deciso sul lavoro e sul grande scoglio, insuperabile per molti italiani, che questa tematica rappresenta da anni. Quello di cui c’è davvero bisogno, infatti, è un’economia rinnovata e incoraggiata, non più fatta di instabilità e precariato, ma di proposte in grado di dare una spinta alle piccole imprese e alle persone comuni, attualmente alle prese con provvedimenti che creano impiego ma anche discontinuità. Il tipo di assistenza di cui il Paese necessita è una spinta dinamica che ridia garanzia di stabilità, e non di immobilità, alla vita di ognuno di noi.