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“Conclave”: un claustrofobico thriller religioso

Alessandra Trifari di Alessandra Trifari
29 Gennaio 2025
in Ciak!
Tempo di lettura: 5 minuti
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Anche quest’anno, le vacanze di Natale sono state condite da una schiera di pellicole in uscita in sala piuttosto varie e interessanti. Cinepanettoni a parte – di cui onestamente non sentivamo la mancanza –, una menzione la merita senza dubbio Conclave, diretto da Edward Berger e tratto dall’omonimo romanzo di Robert Harris. La pellicola è stata accolta positivamente da pubblico e critica e si è guadagnata la bellezza di sei candidature ai Golden Globe, che si sono tenuti lo scorso 5 gennaio, aggiudicandosi la migliore sceneggiatura a Peter Straughan.

Possono thriller e Chiesa essere un’accoppiata vincente? Certo che sì, non dimentichiamo capisaldi quali Il nome della rosa o Il codice Da Vinci, dove giallo e suspense si mescolano con tematiche tipiche della fede. Conclave è dunque il perfetto thriller religioso contemporaneo, ambientato proprio durante il periodo in cui il collegio cardinalizio si riunisce, a seguito della morte del pontefice, per eleggere chi dovrà succedergli.

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Uno splendido Ralph Fiennes è il cardinale e decano britannico Thomas Lawrence, il quale ha l’arduo compito di guidare il conclave e sorvegliare sulle dinamiche e i giochi di potere tra i vari cardinali candidati. Tra questi, l’ultrareazionario Goffredo Tedesco (Sergio Castellitto), il nigeriano Joshua Adeyemi (Lucian Msamati), il canadese Joseph Tremblay (John Lithgow), Aldo Bellini (Stanley Tucci) di vedute liberali, e il misterioso Vincent Benitez (Carlos Diehz), missionario messicano arcivescovo di Kabul, nominato cardinale in pectore dal Papa poco prima della sua morte. Qualcosa sembra però non tornare all’interno di questo conclave e Lawrence è deciso a scoprire cosa c’è dietro.

Sospetto e inquietudine sono alla base di questa pellicola che in un paio d’ore è in grado di risultare claustrofobica e angosciante ma mai pesante, sebbene la storia sia costruita mediante continui dialoghi. Il punto di vista esterno è totalmente eclissato e, dal momento in cui si chiudono le porte e inizia la segregazione, anche lo spettatore viene imprigionato lì, catturato, rapito da una rete di dubbi e segreti destinata lentamente a sciogliersi. Fiennes-Lawrence diventa quasi un detective, incaricato di dirigere il conclave ma intenzionato a scoprire le vere volontà del Papa prima di spirare e portare alla luce la verità. Una verità che sa potrebbe essere pericolosa. Vediamo un personaggio umano, il quale si trova ad affrontare un momento di crisi interiore, di sfiducia nei confronti di Dio a causa di tutto il marciume che i suoi rappresentanti in Terra hanno disseminato nel corso degli anni.

Il film stesso è una forte critica verso la Chiesa come istituzione corrotta, facendo comunque ben attenzione a non sfociare mai troppo nel dissacrante – avrebbe potuto osare molto di più se si pensa ai vari scandali ecclesiastici che la storia, neanche troppo remota, ricorda. Alla fine dei conti, vescovi, cardinali, sacerdoti non sono altro che esseri umani con le fragilità, i dubbi e i vizi che ne derivano, insigniti di un potere troppo più grande di loro. E sappiamo bene che i risultati della combo uomo-potere non sono sempre stati ottimali – la storia continua a ricordare.

Berger mette in scena un film che porta grande rispetto alla storia originale, riadattandola nel giusto, senza strafare. Gira perlopiù negli studi di Cinecittà a Roma e nella Reggia di Caserta (occhi più acuti ne possono individuare i tratti distintivi) e si avvale di una regia oculata, in grado di tenere sempre viva l’attenzione nonostante i continui dialoghi. Non dimentichiamo che stiamo comunque parlando dello stesso regista che ha diretto nel 2022 Niente di nuovo sul fronte occidentale, terzo adattamento del celebre romanzo di Erich Maria Remarque, e che gli era valso la bellezza di quattro premi Oscar. Tra questi, miglior colonna sonora a Volker Bertelmann, lo stesso compositore delle musiche di Conclave e si sente eccome. Un crescendo di note angoscianti da contorno ai toni cupi e opprimenti della fotografia.

Tanto di cappello a Berger, eppure bisogna asserire che la vera perla di questo lungometraggio sono le interpretazioni. Spicca quella di Stanley Tucci, cardinale progressista che rinnega apparentemente tale aspirazione ma ha il terrore che possano imporsi le spaventose teorie conservatrici di Tedesco e per questo combatte poiché, sì, come dice lui stesso, si tratta di una vera e propria guerra. Anche Sergio Castellitto, nei panni di Tedesco, si conferma il valido attore che l’Italia possiede, volutamente sopra le righe, quasi parodistico ma non troppo distante da certi personaggi politici del panorama italiano contemporaneo.

Prevedibilmente più scarno il cast femminile, dove Isabella Rossellini interpreta sorella Agnes, una suora che con poche parole riesce a levarsi e a porre l’accento su una questione ancora ostica. «Anche se noi suore dovremmo essere invisibili, Dio ci ha comunque dato occhi e orecchie» dice, alludendo all’assurda poca rilevanza – per non dire totale degradazione – che le donne tutt’oggi hanno nel mondo ecclesiastico. Nient’altro che cameriere mentre i virtuosi cardinali si preparano alle votazioni.

Prepararsi al colpo di scena finale, non telefonato ma forse prevedibile. Insomma, Conclave è il perfetto connubio di tensione, intrattenimento e riflessione, interessante altresì per comprendere le dinamiche del Vaticano durante l’elezione del nuovo pontefice, infarcito di tradizioni e rituali tanto anacronistici quanto curiosi. Tempo e spazio sembrano quasi concetti inesistenti, chiusi all’interno di quelle spesse mura, dove tutto è assurdamente congelato. Dove la corruzione non smetterà di esistere ma, forse, un po’ di differenza qualcuno può iniziare a farla. E dove le parole di Tucci-Bellini non risultano poi così assurde: «Nessuno sano di mente vorrebbe quel trono. Gli uomini pericolosi sono quelli che lo vogliono».

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Alessandra Trifari

Classe 1991. Dottoressa in storia dell'arte e disegnatrice. Scrive da sempre e la sua mente viaggia tra arte, cinema, musica e parità di genere. Dei due sentieri, sceglierà sempre il meno battuto.

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