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Blu Bovary: storia di un colore (parte 1)

Francesca Testa di Francesca Testa
8 Aprile 2020
in Lapis
Tempo di lettura: 3 minuti
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I colori sono spesso associati a una personalità: il verde a Robin Hood, il rosso a Cappuccetto, il nero a Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany, il bianco alla celebre gonna di Marilyn Monroe. Il blu, invece, per i popoli dell’antichità contava poco: per i Romani era il colore dei barbari e aveva connotazioni negative. Oggi, invece, è di gran lunga la tonalità preferita in tutta Europa ed è più popolare del verde e del rosso. Ma può bastare un colore per comprendere i destini di alcuni protagonisti nel mondo della letteratura, della pittura e dei cartoni animati?

Uno dei romanzi più famosi dell’Ottocento francese, Madame Bovary, di Gustave Flaubert, racconta della vita di Emma, figlia unica di un piccolo possidente agricolo che, tornata a vivere in campagna dopo anni di collegio – dove ha conosciuto e amato l’arte, la musica, la letteratura –, sogna una vita diversa, vivace e mondana. Quando conosce il medico Charles Bovary accetta di sposarlo, vedendo nella sua persona la possibilità di sfuggire a quei confini campagnoli per lei troppo angusti.  Madame Bovary è considerato come una storia romantica finita male o ancora un libro politico sulla condizione femminile, ma anche un simbolo tra illusione e realtà. Tuttavia, sul piano cromatico è un romanzo ricco di descrizioni, ma tranne per il blu. Questo colore, infatti, è l’unico su cui l’autore torna con grande insistenza, legando fra loro alcuni elementi cruciali.

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Durante il primo incontro tra Emma e Charles, la donna indossa un abito in lana blu. Non è stato scelto a caso: il colore spicca, si fa notare, racconta il desiderio di una vita diversa, più elevata della banalità quotidiana della protagonista. Anche in altre due occasioni Flaubert scrive che Emma è vestita di blu, una volta di cachemire, un’altra di seta. Per quanto riguarda Charles, invece, lo scrittore narra che l’attuale dottore, ai tempi della scuola, portava delle calze blu, in effetti unica distinzione di un uomo che sarebbe considerato “incolore”. Flaubert, inoltre, spinge il blu oltre l’abbigliamento. Scrive infatti che Emma ha gli occhi marroni che alla luce del giorno brillano di un blu scuro e che ha i capelli divisi in due bande che emanano riflessi blu.

Nel romanzo, il blu diventa un colore-tema, un vero e proprio segno che narra gli ideali della protagonista. Allo stesso tempo, è una tinta dolorosa. Infatti, quando Rodolphe, benestante dongiovanni che seduce Emma, la lascia, fa nascere nella donna il sospetto che non lo rivedrà più nel momento in cui, affacciandosi alla finestra, lo vede allontanarsi su un calesse blu. Emma acquista poi due vasi di vetro, ovviamente blu, per abbellire il camino del salotto e sempre del medesimo colore è il barattolo che contiene l’arsenico che utilizzerà per uccidersi. Madame Bovary ruberà il veleno proprio al farmacista, instaurando tra il suo primo vestito e l’ultimo gesto una tragica simmetria.

C’è da dire, tuttavia, che Gustave Flaubert non porta nel mondo della letteratura qualcosa di nuovo, originale, perché il desiderio di blu ha già avuto una storia. Un secolo prima di Emma Bovary, infatti, c’è stato un altro suicidio nel mondo della letteratura e anche in questo caso il personaggio era vestito di blu: si tratta del protagonista de I dolori del giovane Werther, pubblicato da Goethe nel 1774. Werther, vittima di un amore impossibile per Charlotte, si spara un colpo di pistola alla tempia e, nel momento della sua morte, indossa una giacca blu. [Continua…]

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