Può sembrare strano o ridondante chiedere alle persone quali siano gli argomenti più ostici da affrontare in famiglia, con il proprio partner o i propri amici, ma vi sorprenderà conoscere le risposte date da coloro che hanno partecipato al mio consueto sondaggio mensile. La domanda era: quali sono i temi che avreste voluto affrontare apertamente e che, per mancanza di coraggio o di opportunità, siete stati costretti a tenere per voi?
Le primissime repliche hanno, com’era prevedibile, menzionato il sesso e la salute mentale: a quanto pare, nonostante siano argomenti ormai piuttosto sdoganati, specialmente su social come Instagram e TikTok, incontrano particolare resistenza quando si tratta di aprirli in famiglia. La maggior parte delle persone che ha sollevato questi due topics ha palesato una certa insofferenza, persino rabbia, nei confronti di genitori dalla mentalità chiusa o bigotta, non tanto sul versante “sesso” – anche se quasi nessuno dei miei interlocutori e delle mie interlocutrici, a parte una singola eccezione, ha mai parlato di sesso con la madre o il padre – quanto su quello della “salute mentale”.
F. mi racconta: “Il sesso lo vivo come una cosa personale e quindi a prescindere non mi viene di parlarne in famiglia, magari anche per un inconscio di pudicizia che ho. Però posso dirti che si parla più di sesso che di salute mentale. lo ricordo una delle prime sedute di psicoterapia: una signora vedendomi in attesa nello studio disse è per la testa (in senso dispregiativo). Mia madre ha avuto attacchi di panico in passato e quindi con lei è stato più semplice ammettere di aver bisogno di aiuto, ma lo sguardo giudicante delle persone quando ero nel pieno dell’ansia me lo ricordo troppo bene e mi ha portato a confrontarmi solo con chi sapevo che mi avrebbe capita e non giudicata”.
D., un insegnante di scuola media, solleva anche la difficoltà a parlare di sesso e salute mentale a scuola. Si deve dire ma fino a un certo modo; si deve fare ma non troppo; si devono usare metafore che siano efficaci ma che non siano esplicite. È un po’ come desiderare un animale da compagnia non come essere vivente, bensì come un peluche. Mi racconta che alla proiezione di un film, durante un cineforum a scuola, una banda inferocita di genitori ha protestato contro la scena di un bacio saffico. Dunque se anche una scena simile provoca indignazione, è ben chiaro che siamo lontani da certi progressismi.
Restando in tema, un mio interlocutore lamentava la questione del sesso esclusivamente performativo: avrebbe voluto che in famiglia, o altrove – evitando di farselo spiegare pagando un terapeuta oggi – ci fosse stata almeno un’educazione sessuale di base, in modo da capire che tutti gli assunti sul maschilismo e la mascolinità legata solo a quanto sei bravo a letto sono argomenti tossici. Ammetteva anche, purtroppo, che nemmeno le generazioni precedenti avevano certi strumenti per comprendere questi problemi.
Altri due temi parecchio discussi sono stati: le fantasie erotiche che non si possono confessare al/alla partner e l’impossibilità di comunicare quando, in un rapporto, gli equilibri si modificano, o si rompono. Prendo un paio di esempi chiarificatori per entrambi i casi di mancato dialogo: nei confronti delle fantasie erotiche ho riscontrato due opposti. Alcune persone che ammettevano di non avere difficoltà a intraprendere relazioni aperte o lasciare che la compagna andasse con altri uomini, senza gelosie, e altre persone che non sentivano di avere la libertà nemmeno di avanzare un desiderio, un cambio di scena, una voglia un po’ diversa dal solito. Perché? Per paura, per pudore, per il timore di essere visti come persone d’un tratto “estranee” o “diverse da come ci hanno conosciuti”.
Uno degli uomini che ha sollevato la questione delle fantasie erotiche mi ha detto: “Ultimamente comincio a trovare interessante il poliamore. Se capita di vedere e conoscere persone attraenti o innamorartene fuori dalla coppia (per qualsiasi coppia in forma o meno) per me rimane una cosa naturale. Con la mia partner non ne posso parlare perché siamo agli antipodi (così tanto l’ho capito dopo la paternità) e ora appunto sono in una fase complessa anche per questo”.
Per quanto riguarda invece la difficoltà ad avere un dialogo onesto e costruttivo, due donne hanno fatto emergere lo stesso problema: rapporto molto lungo, figli, matrimonio, ma l’amore è finito e non c’è verso di poterlo dire. Allora ci si trascina in rapporti stanchi, senza un’apparente via d’uscita. Un’altra amica, A., a questo proposito ha risposto una cosa molto intelligente e centrata: “Un argomento tabù è quello che prevede l’amore come un sentimento fluido, mutevole, non fisso ed eterno. I sentimenti cambiano, le persone cambiano. Chiaro che ci sono casi di coppie che stanno insieme, e felicemente, fino alla morte, ma per la maggior parte della gente non è così. Perché raccontarci la favola dell’amore imperituro? Non sarebbe più onesto confrontarsi con il proprio compagno o la propria compagna e ammettere che, a volte, le cose cambiano, si modificano, finiscono? Laddove è possibile si cambia insieme, ma a volte la cosa migliore sarebbe ammettere che il e vissero felici e contenti per sempre non vale per tutti”.
La trovo, probabilmente, una delle cose più oneste espresse sul tema. Ci hanno cresciuti con questo falso mito dell’amore eterno, dell’amore delle favole, del principe e della principessa e dell’immutabilità dei sentimenti che devono essere granitici altrimenti non è vero amore. Le cose non stanno così: non siamo statue, non siamo alberi. Le coppie crescono insieme ma crescono anche come singoli esseri viventi, a volte non sullo stesso binario e non sulla stessa lunghezza d’onda. Inoltre, il desiderio è una pulsione capricciosa. Non segue la logica, non segue le regole. Probabilmente spaventa questo: il fatto che non possiamo controllarlo.
Successivamente, nel sondaggio, due donne hanno – quasi allo stesso momento, e poi spalleggiate da tante altre persone, sia di sesso maschile che femminile – lamentato aspramente la questione della propria professione in contrasto con la vita privata. Due casi molto simili, quasi identici: maestra e educatrice, entrambe amanti delle foto e degli autoritratti (ognuna per le proprie motivazioni) di nudo o erotici. Come si fanno convivere questi due aspetti? È giusto che la propria professione, una di quelle che prevede figure candide e perfette, influisca sulla vita privata?
Le due donne lamentavano una certa auto-repressione: il timore di essere scoperte, le denunce, l’incompatibilità tra persona e personaggio. E qui non stiamo parlando come di quel caso della maestra iscritta a OnlyFans denunciata dal padre di un alunno (e poi, contro denunciato, a buona ragione) ma di donne “ordinarie” che amano semplicemente posare, con o senza vestiti. È impensabile che possano pubblicare quelle foto. Il nudo femminile è automaticamente poca autorevolezza, professionalità e lesione all’immagine di persona competente nel proprio lavoro, qualunque esso sia. E su questo argomento potremmo dibattere per anni.
Sulla stessa scia, sono venuti fuori altri due topics interessanti: la masturbazione femminile e la legittimazione degli atteggiamenti seduttivi. Mi spiego citando testualmente le due donne che me ne hanno parlato.
N: “Di masturbazione femminile in famiglia non si può parlare, è un concetto demonizzato se sei una ragazza. Tra amici (dipende, ma) fino a non molto tempo fa rientrava nella categoria cose che si fanno, ma non serve dire. Perché darsi piacere è una cosa irresistibile per i ragazzi, mentre per le ragazze si fatica a concepirlo? Perché noi ci controlliamo? […] Una restrizione che serve anche a tenerci al sicuro, mi viene da dire. Perché tutto quello che è libertà viene preso per disponibilità. E purtroppo non sempre con leggerezza. […] Credo che ci sia un problema di linguaggio, è come se una parola avesse sempre significato un concetto e si faticasse a elaborarne un altro. Una donna nuda è una poco di buono, quindi per forza ama scopare, non importa con chi; idem una donna che si masturba. […] Per di più sono cose di prerogativa tradizionalmente maschile (mostrarsi nudi, l’autoerotismo), che non vengono rivendicate come tali ma rigirate per oggettificare la donna come strumento di piacere. Quindi comunque si finisce a toglierci il “potere” quali esseri agenti e desideranti. […] Direi che finché chi ci governa annulla ogni tipo di empatia in nome della conservazione dello status quo, a livello sociale continueremo a essere egocentrici (o narcisisti, penso si possa dire). Spero che un po’ alla volta cambieremo. A livello sociale, a livello personale. E forse, mi viene da dire, conviene partire dal microcosmo che ciascuno costituisce”.
E sulla legittimazione degli atteggiamenti seduttivi, che si lega sia al discorso delle fotografie e quindi della consapevolezza di sé, sia alla questione della masturbazione come autodefinizione, B. dice: “Dunque la seduzione. È difficile parlarne e io ci ho impiegato tanto tempo a rifletterci e discuterne con altre persone, ovviamente il primo spunto che mi viene in mente – e che ho vissuto in quanto donna – è legato a un discorso di genere: la donna seduttrice è maligna poiché distoglie l’uomo dal percorso retto e privo di tentazioni, porta l’uomo verso il peccato, il piacere. Mentre l’uomo, come il Johannes di Diario del seduttore di Kierkegaard, è come se seducendo compiesse un esercizio di stile, come se fosse un processo di estetica, come se fosse un gioco. La seduzione, nella mia esperienza, viene sempre vista come qualcosa che ha una vittima e un carnefice, complice la morale cattolica di cui sono impregnati molti dei nostri tabù, quando per me somiglia molto di più a un gioco a due. […] Per questo parlo di legittimazione. lo so di essere seduttiva, ma so che lo sono perché lo sono stati con me a mia volta, è il linguaggio che ho imparato. E questo non solo in famiglia, ma anche nelle amicizie e nelle relazioni. E in qualche maniera quando mi rendo conto di esserlo o di avere come automatismo un atteggiamento seduttivo, non posso scherzarci apertamente, perché sembra sempre come se giocassi sporco o se fossi incoerente o scorretta: col mio amico, con la ragazza del mio amico, con mio zio, con quell’estraneo o estranea. Con seduttiva intendo catturare l’attenzione, attrarre, affabulare, per questo dico che è un gioco, alla fine qualsiasi conversazione e qualsiasi linguaggio ha dei presupposti e dei patti silenti tra chi partecipa, la seduzione è solo un modo più estetico, divertente, raffinato di esprimersi”.
Tendenzialmente, almeno da ciò che emerso durante il sondaggio, le questioni sono – per le donne – il non sentirsi libere di essere donne. Nascondersi, dissimulare, non esprimere i propri desideri, delegittimare il corpo come semplice strumento sessuale e riappropriarsi di un racconto, di una storia che quello stesso corpo può tirare fuori, non per gli altri, ma per se stesse. E dunque le fotografie, la scrittura, la masturbazione, l’atteggiamento seduttivo: tutte questioni che, se fossero discusse da uomini, non sarebbero neanche questioni.
Gli uomini, per contro, lamentano poca trasparenza nelle relazioni, la repressione di desideri e voglie di cui parlerebbero volentieri e apertamente con la partner; il peso di un’educazione che li ha cresciuti come robot performativi senza sentimenti, semplici tori da monta che, nel momento in cui hanno una défaillance o un attimo di smarrimento, vengono presi per: deboli, effeminati, inutili, inservibili.
Per entrambi i sessi, la salute mentale è un grandissimo tabù, espresso a fatica, non solo in famiglia, ma anche con i professionisti stessi, complice anche la poca tutela e assistenza pratica a chi ne ha bisogno. Più facile rinunciare perché: non si hanno soldi a sufficienza; passerà; saremo giudicati pazzi; sono cose di cui non si parla.
Come ha detto la mia amica N., forse il modo migliore di sdoganare certi temi è farlo nel proprio microcosmo e successivamente aprirsi agli altri: una persona consapevole con se stessa sarà consapevole anche con e per gli altri. No, perché se aspettiamo le istituzioni e la politica, siamo freschi.