Antonio Muñoz Molina è uno scrittore spagnolo contemporaneo dotato di una raffinata versatilità e allo stesso tempo contraddistinto dalla tendenza a redimere le sue storie con un velo di mistero. Tra i suoi primi lavori vi è il celebre romanzo L’inverno a Lisbona (1987), una sorta di noir con cui l’autore si è aggiudicato il Premio Nazionale di Narrativa e il Premio della Critica. Nonostante il titolo faccia riferimento alla capitale portoghese, la bellezza di Lisbona – con le sue albe e tramonti mozzafiato e gli edifici dai colori pastello –, non è la protagonista della storia di Molina, ma soltanto il luogo dove terminano le peripezie, iniziate in Spagna, del pianista jazz Biralbo. La vicenda, infatti, prima di approdare in Portogallo, ha inizio nella basca San Sebastián, in cupi e fumosi bar dove si beve bourbon e si suona il jazz.
Nei Paesi Baschi vive e lavora anche il protagonista del thriller Plenilunio (1997), un investigatore che, però, in quei luoghi si trova a combattere quotidianamente contro il terrorismo. Lettere e minacce di morte e una moglie sempre più paralizzata dalla paura sono solo un ricordo quando finalmente viene trasferito nella regione andalusa e si allontana definitivamente dal suo matrimonio. Ma è un ricordo che non sfuma mai, e il pericolo e le persecuzioni divengono la sua ombra. Anche Biralbo non riesce a dimenticare, nonostante tenti di ricostruirsi una vita dopo essere stato abbandonato dalla sua amata. Per anni le scrive e la aspetta, e cerca il suo volto nello sguardo di tutte le persone che incontra. Lo sguardo parla da sé, è in grado di dire moltissimo su chi si ha di fronte ed è ciò che le persone inseguono prima di qualsiasi altra cosa quando sono in attesa di qualcuno. Ed è così che, mentre Biralbo attende, l’investigatore rincorre uno sguardo, quello dell’assassino di una bambina.
Giorno e notte si aggirava per la città alla ricerca di uno sguardo. Era diventata la sua unica ragione di vita e sebbene tentasse di fare altre cose o fingesse di farle, in realtà si limitava a guardare, spiava gli occhi della gente, i volti degli sconosciuti, dei camerieri nei bar e dei commessi nei negozi, i volti degli arrestati nelle schede segnaletiche. L’ispettore cercava lo sguardo di chi aveva visto qualcosa di troppo mostruoso perché l’oblio potesse mitigarlo o cancellarlo, due occhi che tradissero qualche traccia o qualche indizio del crimine, due pupille in cui si potesse scoprire la colpa senza incertezze, semplicemente scrutandole, come i medici che riconoscono i segni di una malattia sotto il raggio di una piccola torcia.
Nella solitudine e nella malinconia, in due viaggi interiori offerti da Molina con una penna prima acerba e dopo dieci anni più matura, i protagonisti scoprono lentamente il proprio animo alle persone più care e, di conseguenza, al lettore. Tuttavia, sembra che la loro unica salvezza risieda nella soluzione di un vero e proprio enigma: la sfortunata storia d’amore di Biralbo si intreccia con il caso della sparizione di un quadro di Cézanne in cui i due amanti si troveranno irrimediabilmente coinvolti, mentre il testardo investigatore vota la sua vita all’inseguimento di un pedofilo assassino, la cui sorte sarà affidata a un plenilunio.
Passeggiando al buio e sotto la pioggia con il pianista e l’investigatore, il lettore scopre che i misteri non riguardano soltanto il furto di un quadro e un abile criminale. Gli stessi protagonisti, infatti, si rivelano come puzzle, offrendo di sé un pezzo per volta con l’avanzare della lettura.
Così, sullo sfondo musicale di Lisboa e Burma nel primo romanzo e di Tiempo de lluvia nel secondo, le emozioni e le riflessioni dei personaggi lasciano la carta e investono il lettore come una tempesta. La curiosità di chi legge, forse, sarà appagata soltanto una volta arrivati all’ultima pagina del libro.