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Amministrative, Napoli laboratorio: una nuova destra è possibile

Redazione di Redazione
9 Settembre 2021
in Attualità
Tempo di lettura: 3 minuti
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Finalmente, in Italia, abbiamo una destra coesa e presentabile. Una delle tante anomalie del nostro Paese nate dal dopoguerra, dai blocchi contrapposti e dalla difficile separazione dal nucleo fascista, sembra essere ormai risolta.

Queste elezioni amministrative, infatti, sono la prova generale che una destra europea è possibile anche da noi. D’ora in avanti, toccherà alle varie forze conservatrici dialogare e cercare un terreno comune attorno al “migliore” di turno. Il governo centrale già è frutto di questa nuova realtà. Quelli locali si stanno adeguando in fretta. Napoli funge da laboratorio della politica nazionale.

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Moderati, repubblicani, centri vari, socialdemocratici, liberali, renziani, forzaitalioti hanno trovato casa comune nelle tredici sfumature di grigio a sostegno della candidatura di Gaetano Manfredi. Una destra salottiera e convincente che, di fatto, svuota il bacino elettorale del buon Catello Maresca, condannato, suo malgrado, a impersonare la destra dai calzini bucati e dalle urla sguaiate. Più subdola, invece, è l’operazione nostalgia di Antonio Bassolino, perché incentrata su un’ambiguità congeniale al personaggio, dove ai calendiani/renziani riesce ad affiancare una lista LGBT, il cui scopo è solo quello di legittimare la “impoliticità” di una candidatura velleitaria, rancorosa e personalissima.

Le tre destre napoletane sono, in seme, il pensiero “unico conformista” sul quale i migliori intendono spingere l’intero Paese, osannati dai cantori circumvesuviani. Quasi che la politica e l’ideologia fossero fronzoli superati: coagulare attorno alla figura forte dei funzionari grigi e interscambiabili, esattamente come in un qualunque ufficio burocratico. Tipo INPS o Posta. L’elettore medio rimarrà incantato dalle sirene civico-nulliste? Fa quasi tenerezza l’impresentabilità rozza di Maresca già messa alla berlina dalle scazzottate missine. Figure marginali, ma poetiche in questo scenario, sono le “foglie di fico” che tutti e tre i candidati hanno avuto cura di procurarsi. Un’ininfluenza come destino: la scelta di essere dei menestrelli davanti al re.

L’equilibrio, in politica, è dato dalla forza, dal peso, non dal diventare come fondotinta su maschere incartapecorite dal potere fine a se stesso. Schiacciati dalle potenze di fuoco dei capi, quale peso elettorale sperano di conquistare? Orpelli, soprammobili e nulla di più.

Dà un senso di sollievo, quasi di liberazione, il sostegno che alcuni anziani sindacalisti cigiellini hanno offerto ai nostri campioni. È la fine di un’ambiguità durata un trentennio, in cui azioni da padronato di destra ultraliberale hanno trovato appoggio e legittimazione nello storico sindacato dei lavoratori. Anche questa è un’anomalia spazzata via dalla nascita ufficiale della nuova destra italica, che transuma la classe dirigente scafata dei vecchi PCI. Non c’è da stupirsi, quindi, che i giovani, i fragili, i diversi e gli esodati/esondati dai cicli produttivi non abbiano trovato voce e rappresentanza alcuna nel sindacato ufficiale negli ultimi decenni. Le nuove istanze di povertà ed esclusione non sono materia sindacale. Perfetto, basta saperlo.

A Milano, per esempio, narrano di una presunta riconoscenza a Sala (candidato di “apparente” centrosinistra) per l’organizzazione di EXPO, dove giravano contrattini di lavoro da tre euro l’ora. Una vera e propria fregatura per le lavoratrici e i lavoratori che avevano sperato in un effetto ricaduta della manifestazione. Mentre a Roma spopola nei salotti rosanero e nelle basi di destra moderata il super Calenda, forte della sua ibrida e personalissima macchina politica. Così non c’è da meravigliarsi che il migliore napoletano, Gaetano Manfredi, imitando il Presidente del Brasile Bolsonaro, eviti ogni confronto: lui parla da solo.

Contributo a cura di Luca Musella

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