Nel corso della storia, le donne ci hanno insegnato tanto. Che il valore di un essere umano prescinde il suo genere. Che sulla linea di fianco a un uomo, per raggiungere il medesimo traguardo, loro devono correre il doppio, partendo con il doppio dello svantaggio. E a volte vincono. È per questo che vogliamo ricordare l’aviatrice Amelia Earhart che oggi, nel 1928, divenne la prima donna ad attraversare l’Atlantico e, poco dopo, la prima a compiere la trasvolata in solitaria, senza scali. Pioniera dei cieli, simbolo di audacia e caparbietà per tutti coloro che credono fermamente nei propri ideali e nelle proprie vocazioni. E per tutti coloro che sostengono che non puoi fare qualcosa soltanto perché sei femmina.
Era il 1897 quando nacque Amelia, ad Atchinson, cittadina del Kansas. Anticonformismo, curiosità, smania di conoscere ed esplorare crebbero con quella bambina. Il suo primo incontro con il mondo dell’aviazione avvenne con suo padre, alla fiera aeronautica dell’Iowa a Des Moines ma, paradossalmente, non ne rimase affatto colpita e proseguì gli studi fino al college, che però non concluse mai. Aveva deciso di diventare infermiera per la Croce Rossa, per occuparsi dei feriti durante la Prima Guerra Mondiale. Ma qualcosa non andò secondo i piani e Amelia contrasse l’influenza spagnola, cosa che la costrinse a una lunga convalescenza in cui ebbe modo di leggere molto. Fu in quel periodo che si interessò ai libri di meccanica.
Se la fiera con suo padre non aveva prodotto buoni risultati, la svolta avvenne invece al raduno aeronautico presso il Daugherty Airfield, a Long Beach, in California: ad Amelia, raggiante 23enne, venne concesso di salire su un aereo per un brevissimo volo turistico e, tutt’a un tratto, capì quale sarebbe stato il suo destino. La sua vita, da lì in poi, sarebbe stata tutta in discesa o, per meglio dire, in salita. Prese dunque lezioni di volo, conseguendo il brevetto da pilota – la sedicesima donna al mondo a riuscirci – e acquistò il suo primo aereo, un biplano Kinner Airster giallo, dal nome Canarino. Nel 1924 il suo primo record: divenne la prima donna al mondo a volare a un’altitudine di 14mila piedi (circa 4300 metri).
Nonostante le ambizioni e l’immensa rapacità di Amelia, le ristrettezze economiche la costrinsero a trasferirsi e trovarsi un lavoro che le permettesse di mantenersi e continuare a fare ciò che più amava. Fino a quella telefonata. «Ti piacerebbe essere la prima donna a volare sull’Atlantico?» furono le parole dell’uomo all’altro capo della cornetta. La immaginiamo sorridere, in silenzio. Fu così che, il 17 giugno del 1928, Amelia salì su Friendship, un Fokker F7 e decollò da Trepassey Harbour assieme al pilota Wilmer Stults e al meccanico e co-pilota Lou Gordon. Una conquista per una donna del tempo, nonostante fu lei stessa a dichiarare di essersi sentita più “un bagaglio” che un’aviatrice perché non le fu permesso di pilotare. Ciononostante, una semplice strategia che ottenne risultati ai limiti dell’immaginazione. Una folla in visibilio accolse il gruppo, invitato alla Casa Bianca dall’allora Presidente Calvin Coolidge. Il mito Earhart era ufficialmente nato. Adorata come star nazionale, un’eroina indiscussa, scrisse libri, partecipò a campagne pubblicitarie, conferenze e interviste e sposò George Palmer Putnam, in seguito suo manager.
Ciò che Amelia non sapeva era che il suo apice fosse ancora giunto. Per quello avrebbe dovuto aspettare il 1932 quando, a bordo del suo Lockheed Vega, divenne la prima donna al mondo a compiere la trasvolata dell’Oceano Atlantico in solitaria, senza scali. Partendo da Harbour Grace e atterrando a Culmore, in Irlanda del Nord, Amelia volò per quasi 15 ore, ottenendo il celebre soprannome di Lady Lindy – prima di lei ci era riuscito solo Charles Lindbergh, nel 1927. Ormai era inarrestabile. Ottenne la Medaglia d’Oro della National Geographic Society e la Disginguished Flying Cross, per la prima volta nella storia a una donna. Divenne persino disegnatrice di capi femminili più pratici e sportivi e di una linea di bagagli aerei.
Tra primati, viaggi e successi, Amelia sentiva che doveva spingersi oltre. Nel 1936 prese una decisione tanto folle quanto necessaria, che avrebbe compromesso per sempre la sua vita: pianificare il giro del mondo in aereo. La follia consisteva più che altro nella scelta di seguire la complicata rotta equatoriale, quella più lunga, circa 47mila chilometri. I finanziamenti arrivarono dalla Purdue University – dove recentemente era entrata come visiting faculty member – e per l’equipaggio furono scelti il capitano Harry Manning come primo navigatore e Fred Noonan come secondo. L’aereo, un bimotore Lockheed L10 Electra, fu costruito appositamente per il progetto, seguendo precise modifiche proposte dalla stessa Earhart. Sebbene il primo tentativo fosse risultato fallimentare a causa di alcuni guasti, il 1° giugno 1937 Amelia finalmente decollò, portando con sé soltanto Noonan. Percorsero 35mila chilometri arrivando a Lae, in Nuova Guinea. La loro seconda destinazione avrebbe dovuto essere la piccola isola di Howland. Destinazione che però non raggiunsero mai.
L’ITASCA, la Guardia costiera statunitense, era posizionata nei pressi dell’isola al fine di comunicare con l’aviatrice e guidarla nell’atterraggio ma, per motivi ancora da decifrare, ciò non avvenne e i contatti con l’aereo si persero dopo pochi, confusionari, messaggi. «Dovremmo essere sopra di voi ma non riusciamo a vedervi. Il carburante sta per finire» è forse il più angosciante. Earhart e Noonan sparirono nel nulla. Le loro tracce si persero nei pressi dell’atollo di Nikumaroro, distante circa 10mila chilometri dal renderla la prima donna a effettuare una trasvolata mondiale.
Immediatamente, la notizia della loro scomparsa fece il giro del mondo e il Presidente Roosevelt si mobilitò per le ricerche, impiegando nove navi e 66 aerei. Dopo 16 giorni, il 18 luglio, le indagini si interruppero senza alcun successo. Il 5 gennaio 1939 Amelia Earhart venne dichiarata ufficialmente morta. Numerose furono le teorie sull’infausta sorte dei due: ammaraggio con conseguente morte in mare, periodo di sopravvivenza sulla Gardner Island, prigionia per la possibilità di essere creduti spie. Negli anni e tutt’oggi, il destino della celebre aviatrice rimane in una nube di mistero, sebbene le ricerche più recenti abbiano prodotto ulteriori risultati. Pare che il ritrovamento del relitto di un aereo, nel 2012, potesse ricondurre all’Electra, mentre, nel 2018, un’analisi sulla rivista Forensic Anthropology avrebbe stabilito che alcuni resti ossei trovati nel 1940 fossero appartenuti quasi certamente alla Earhart.
Amelia non ha “solo” stabilito dei record mondiali. Amelia ha scritto una pagina di storia, personificando un’idea. Divenendo lei stessa la sua rivoluzione. Un’icona nel mondo, complice la sua nebulosa morte, che l’ha resa popolare nella cultura di massa, tanto da comparire in note canzoni – Amelia di Joni Mitchell –, documentari e film. Nel 2009 le è stato appunto dedicato Amelia, diretto da Mira Nair e interpretato da una suggestiva Hilary Swank. Negli Stati Uniti le sono state intitolate strade e aeroporti, e La Civil Air Patrol ha istituito l’Amelia Earhart Award, riconoscimento per i migliori cadetti.
«Alcuni di noi hanno grandi piste di decollo costruite per loro. Se ne hai una, decolla! Ma se non ce l’hai, renditi conto che è tua responsabilità prendere un badile e costruirtene una da solo, per te e per quelli che seguiranno dopo di te». Sono le parole di Amelia Earhart, la cui passione è stata la sua forza ma anche la sua condanna. Ha sconfinato i cieli e da lassù il mondo, per lei, non ha avuto barriere. Una buona dose di ostinazione coadiuvata – inutile far finta che non sia così – dall’averle dato la possibilità di potercela fare. Perché non ci stancheremo mai di ripetere che la questione femminile, ancora oggi, è anche e soprattutto una questione maschile. Per far sì che molte Earhart, o Curie, o De Beauvoir non vengano distrutte ancor prima di nascere. «Le donne devono provare a fare le cose come hanno provato gli uomini» ci ha detto la Earhart. «Quando falliscono, il loro fallimento deve essere solo una sfida per gli altri». E noi ti ringraziamo, pioniera dei cieli.