Non sappiamo se valga lo stesso anche per chi ci legge, ma noi, ogni volta che scopriamo che Alessandro Di Battista ha rilasciato una dichiarazione o ha scritto un post, cominciamo ad avere i brividi. Non perché ci faccia un effetto febbricitante o per l’emozione che (non) suscitano le sue parole, ma perché abbiamo sempre il presentimento che stia per spararne un’altra, come se fosse rimasto indietro di un paio di anni.
È proprio questa la sensazione che ha dato durante l’intervista concessa domenica scorsa a In mezz’ora, dove il pasdaran pentastellato è tornato dopo più di dodici mesi di assenza dai talk show. E infatti, se riavvolgiamo il nastro, la sua ultima apparizione televisiva risale al febbraio 2019, all’indomani della disfatta del MoVimento 5 Stelle alle Elezioni Regionali in occasione delle quali era sceso nuovamente in campo: qualcuno ricorderà che quella volta, dopo aver risposto a una domanda di Floris, Dibba chiese incredibilmente al pubblico per quale motivo non stesse applaudendo, a dimostrazione dello stato di smarrimento che già all’epoca dimostrava.
Probabilmente, il militante grillino – anche se non siamo certi sull’uso di quest’appellativo, dopo che anche il fondatore gli ha rinfacciato il disorientamento – tra un documentario e l’altro in giro per il mondo non si è accorto che negli ultimi anni sono cambiate tante situazioni, a cominciare da quella del suo partito, così è andato in televisione a dire le stesse cose che ripeteva quando era parlamentare, il che può certamente essere sinonimo di coerenza ma anche di anacronismo e – ci scuserete – di paraculismo.
Già perché, ospite di Lucia Annunziata, Di Battista ha più volte fatto riferimento all’evidente periodo di debolezza del MoVimento, sostenendo che facesse bene alla sua schiera avere al proprio interno un rompiballe critico. Un’affermazione che certamente merita di essere celebrata perché sta a significare che il partito ha finalmente scoperto il dissenso, l’esistenza di opinioni discordanti e – fatecelo dire – il gioco delle correnti dopo il sacrificio sull’altare di parlamentari e militanti vari che non seguivano la linea. Esaurito l’entusiasmo per la scoperta dell’acqua calda, però, vorremmo chiedere all’ex deputato se non trovi un tantino dettato da opportunismo questo suo essere double face, presentandosi solo ora come rompiballe critico, dopo il sostegno alla prima alleanza di governo con la Lega che ha portato al declino dei grillini e dopo aver fatto anche lui – e, da ingenui, speriamo inconsapevolmente – il gioco di Salvini. Come dimenticare quando criticò le magliette rosse che nel giugno 2018 scesero in piazza per condannare l’emorragia di umanità a cui stavamo assistendo e che a suo avviso erano soltanto dei radical chic smemorati? O – forse anche peggio – come si può non citare la sua campagna elettorale per le scorse Europee, quando cercò di puntare tutto sul diritto degli africani di restare in Africa? Una specie di aiutiamoli a casa loro detta in maniera più delicata. O paracula.
Insomma, Alessandro Di Battista sta capendo che dalle sue parti qualcosa non va – chissà perché – e giura di non voler fare del male a nessuno: «Il Premier non deve temere picconate da parte mia», ha precisato su RAI 3, senza peraltro che l’intervistatrice glielo avesse chiesto. Una frase che alcuni hanno interpretato come un #Contestaisereno e che rappresenta la partenza del suo piano per tornare alla ribalta con una linea programmatica dimostrando di avere ancora una certa influenza tra i suoi, come ha tenuto a sottolineare ripetendo di essere ancora in contatto con i parlamentari 5S.
Come se non bastasse, ha addirittura invocato un “congresso”, proprio lui che è una delle figure di spicco di un movimento che ha fatto della democrazia diretta la sua bandiera e che, invece, oggi usa questa parola tanto cara ai vecchi partiti, gli stessi che ha sempre inteso contrastare. E anche qui viene da ringraziare chissà quale divinità se i pentastellati stanno scoprendo strumenti tanto belli e democratici. Ancora una volta, invece, è stato Di Battista a fare la figura dell’anacronista: risulta difficile pensare che possa essere utile un congresso in questo momento, dove le energie e le forze a disposizione devono essere funzionali a una ricostruzione del Paese che non si può più rinviare. Intendiamoci, un’assemblea tra i 5 Stelle sarebbe a ora infruttuosa anzitutto per gli sfidanti alla leadership – tra cui immaginiamo che ci sarà anche Dibba – perché, date le circostanze, non risulterebbe facile confrontarsi e dedicarsi attentamente a una seria riflessione interna che da quelle parti è necessaria da tempo.
Intanto, se proprio il figliol prodigo vuole cimentarsi in qualcosa, provi a vedere se il popolo dei meet up è ancora dalla parte grillina e si faccia spiegare cosa è successo dal loro punto di vista in questi anni: siamo convinti che gli farà bene per recuperare la cognizione del tempo.